Regia di Antoine Fuqua vedi scheda film
Ecco I magnifici sette déjà vu.
Un remake stantìo che ti fa passare la voglia di (ri)guardare ancora western.
Il primo déjà vu: i cattivi alla fine muoiono, anche se in quantitativo industriale contro sette più l’aiuto dei contadini residenti addestrati alla bell’e meglio
Il secondo: la belloccia indifesa diverrà deus ex machina
Il terzo: la mira dei cattivi è una chiavica disumana
Il quarto: mettiamo insieme i più incompatibili del mondo, anche multirazzialmente parlando
Il quinto: caratteri e personalità tracciate col machete, con l’ovvia presenza del solito codardo che si redime
Il sesto: il cattivo è cattivissimo e il buono è buonissimo
Il settimo: non un’inquadratura che esalti, un dialogo che incalzi, un duello che intrighi, una visione che illumini.
Perché, allora, la necessità di certe operazioni che ti afflosciano sulla poltrona?
Pensavo a Quel treno per Yuma, remake di qualche anno fa con Bale e Crowe.
Quello aveva senso. C’era materiale per scavare e ci si sbizzarriva addirittura a cambiare le carte in tavola.
Questi magnifici invece? Qual è la ratio? Servivano soldi a Denzel per ristrutturare la piscina a Beverly Hills? Oppure Antoine Fuqua è finito in bancarotta? O meglio ancora per far rivoltare nella tomba Kurosawa, autore dell’originale I sette samurai che ha dato via poi, alla saga western?
Un film che non ti scuote di una virgola, perché presto comprendi di essere impantanato in un passato che non vuole rischiare nulla, roba da rimpiangere i Leone se non addirittura i Terence Hill.
Ed esci dal cinema come uno dei cattivissimi.
Con le aspettative crivellate.
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