Regia di Mia Hansen-Løve vedi scheda film
Nathalie (Isabelle Huppert), insegnante di mezz'età che crede molto nella sua professione, è sposata da anni con Heinz (André Marcon), un collega, ma, rispetto a lei, più distaccato nell'approccio al suo lavoro, ha due figli che le danno i soliti grattacapi come ogni figlio 'che si rispetti' ed in più ha una madre anziana (Edith Scob) con gravi problemi sia di salute sia psichici: in breve tempo tutti questi fattori, combinandosi tra loro, creeranno gravi difficoltà alla donna, che dovrà fronteggiarli con l'unico sostegno, inatteso, di un suo ex studente.
'Le cose che verranno' è il quinto lungometraggio della giovane cineasta francese Mia Hansen-Løve, della quale avevo apprezzato i precedenti 'Un amore giovane' e 'Eden', entrambi caratterizzati da una certa leggerezza di tocco e freschezza nel trattare gli argomenti scandagliati: nonostante il prestigioso premio alla Berlinale del 2016, dove - battuto da 'Fuocoammare' di Gianfranco Rosi che, per inciso, m'è piaciuto ancora meno - ha ottenuto l'Orso d'argento per la migliore regia, 'L'avenir' non convince in più punti del suo arco narrativo, dove la visione si fa faticosa per un certo sovraccarico di dialoghi, spesso pomposi e retorici, vertenti continuamente su temi complessi ed importanti come la Filosofia, ma esplorati alla stregua di un bigino della materia, mentre funziona meglio quando la (raffinata) mano dell'autrice inquadra i paesaggi rurali e l'ambiente cittadino dove si muovono i protagonisti delle tribolate vicende.
Hansen-Løve, a mio avviso, punta a un tipo di cinema che ricorda le opere di Eric Rohmer, fittissime di dialoghi ma, malgrado questo, dotate di una scorrevolezza e di una plasticità uniche, però stavolta il 'miracolo' non si avvera e il risultato è un film più pretenzioso e sfilacciato che riuscito, che come frecce al suo arco, che lo risollevano in parte, può vantare due grandi prove interpretative: in primo luogo della solita, grande Isabelle Huppert, che aggiunge un altro ritratto tormentato e a tutto tondo di una donna in difficoltà sia dal punto di vista umano sia da quello professionale; in secondo luogo dell'anziana Edith Scob, nella toccante interpretazione della fragile madre della protagonista.
Voto: 5,5.
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