Regia di Mia Hansen-Løve vedi scheda film
Quello che Mia Hansen-Løve ci propone è un atto di voyerismo.
Il film inizia con la telecamera che si avvicina di soppiatto alla protagonista (la solita ineccepibile Isabelle Huppert), mostrandoci un breve frammento di idillio famigliare, una cartolina dal passato.
Quello che interessa però il nostro sguardo è il presente, perché lì stanno le magagne. Il film si trasforma in un'elaborazione della perdita, perché pian piano la nostra protagonista perde tutti i propri riferimenti domestici (i figli, cresciuti, vanno via di casa, il marito la lascia per un'altra donna, la madre, fonte di psicopatiche certezze, muore). E noi osserviamo come la protagonista resista al dolore, rimaniamo quasi perplessi per come non lo esibisca (in quanto convinta e impegnata insegnante di filosofia pone la legge morale sopra ogni cosa) e quindi svisceriamo i momenti di intimità per coglierne le piccole incrinature e i momenti di debolezza.
Quando alla fine si libererà anche dell'ultimo retaggio di quel che era, il gatto ereditato dalla madre, il passato sarà ormai realmente superato e la liberazione compiuta (in quanto, come lei stessa ammette, ogni perdita comporta in parte una ritrovata libertà) e quindi la telecamera potrà pian piano allontanarsi e liberarla dal nostro sguardo.
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