Regia di Jens Lien vedi scheda film
Trovarsi in un metrò deserto, tra i pilastri tutti uguali, ove si intravede solo una coppia di giovani nell’atto di baciarsi vigorosamente: ma, a ben vedere, quel gesto di passione ha tutto fuorché l’impeto del trasporto che la situazione evocherebbe: i due giovani si baciano meccanicamente, guardando il vuoto. L’occhio sgranato del nostro protagonista, raccoglie da quel dettaglio l’ultima conferma che gli è necessaria per compiere il gesto estremo di lanciarsi sui binari una frazione prima che il convoglio li attraversi.
Subito dopo questo inquietante incipit, torniamo indietro, non si sa quanto tempo prima, ma non importa: il nostro uomo scende da un autobus che ha percorso un deserto immenso, per fermarsi a ridosso di una piccola, incongrua, fermata ove campeggia una rudimentale scritta di benvenuto.
Così viene accolto il nostro uomo, che arriva chissà da dove, reduce da chissà quale esperienza di vita precedente. Sappiamo solo, o quanto meno intuiamo, che egli vuole o deve cambiare vita.
La macchina che lo raccoglie alla fermata lo porta in città, nell’appartamento che l’organizzazione gli ha messo a disposizione, assieme al nuovo lavoro, ai nuovi colleghi, e al nuovo mondo nel quale egli deve in qualche modo integrarsi.
Un mondo apparentemente impostato all’insegna dell’equilibrio, della serenità, dell’armonia, ma anche, o forse proprio per questo, quasi asettico, ove ogni sentimento, ogni odore, ogni sapore diventa sempre più impercettibile, e l’emozione finisce per essere sostituita sempre più da una rassicurante, ma anche piattamente scontata gestione della circostanza, in modo meccanico, routinario, devastante.
Solo contro tutti, l’uomo - memore della fine che viene riservata a chi si ribella e non accetta la placida quotidianità saldamente programmata – saprà ricordarsi di un incontro particolare con un ribelle che come lui è riuscito ad opporsi a quello che pare un compromesso artificioso ed ingannevole, ed incontrandolo scoprirà l’esistenza di un foro in grado di poter tornare a far recepire a quella umanità neutra ed incolore, le sensazioni che ci rendono vivi, impulsivi, poco controllabili, ma esseri umani dotati di una libera capacità di scelta.
L’opera seconda a metà strada tra l’apparire inquietante ed affascinante, in capo al regista norvegese Jens Lien, “L’uomo fastidioso” (questa la traduzione di “The bothersome man”), è tutta incentrata sul non-detto: non si sa perché il protagonista Andreas finisce in quel luogo, né perché, ma ne intravediamo gli effetti, consapevoli quanto il protagonista che il mondo circostante si comporta in modo troppo neutro e inanimato affinché lo si possa considerare plausibile, o anche solo possibile.
Una società di tipo orwelliano, da Grande Fratello che tutto vede e tutto dispone e programma, quella che circonda il nostro sempre più attonito protagonista: che ha tutto (lavoro facile, poco impegnativo e ben remunerato, colleghi cordiali e amichevoli, bella fidanzata, bella amante), ma in fondo niente, perché le emozioni di una sua precedente vita a noi ignota nei particolari, i sapori, i colori, gli odori, sono svaniti e rimangono un ricordo che gli altri nemmeno riescono più a rammentarsi.
Il film, forte di una ambientazione suggestiva soprattutto quando ci introduce i perimetri desertico-nordici entro i quali il protagonista ciene invitato ad introdursi, di fatto riuscito, appare solo un po’ troppo inerte nel suo finale, risolutivo solo in parte: non avremmo gradito tanto spiegazioni e chiarimenti (il dubbio paga sempre e lascia spazio all’immaginazione e al potere singolo dell’interpretazione dell’incognito), quanto forse un piglio un po’ più deciso per affrontare un tentativo di riscatto ed orgoglio da essere umano pensante e giuducante, a cui manca forse un po’ di carattere.
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