Regia di Marco Risi vedi scheda film
Il Sorpasso "Africano" 1992. Uno dei migliori Abatantuono di sempre
“Nel continente Diego” intitolò la sua recensione Goffredo Fofi nell’ottobre ’92, riassumendo così film e relativa stroncatura de NEL CONTINENTE NERO di Marco Risi. In sostanza gli si rimprovera(va) che il protagonista Diego Abatantuono accentri e divori il corpo dell’opera cinematografica. Né più né meno di ciò che diceva la critica ufficiale dei vari Sordi, Manfredi. In realtà Risi con l’aiuto fondamentale di Andrea Purgatori confeziona una critica di costume sugli italiani all’estero nell’anno cruciale di Tangentopoli.
Alessandro Benini decide di partire in Kenya con la fidanzata Irene, dopo aver ricevuto casualmente la notizia della morte del padre Alfonso, morto in un incidente aereo con il suo piccolo Piper. Erano vent’anni che non lo vedeva più. Ai funerali il sanguigno padre missionario officia la funzione citando un brano da “Le nevi del Kilimangiaro” di Hemingway “minacciando” la fauna di coloni italiani sul fragile filo a cui tutti siamo appesi…Alessandro constata che il padre era un imprenditore stimato e benvoluto, legato all’intraprendente e piccolo tiranno Fulvio Colombo, nonché principale creditore del genitore. Questi con un paio di sotterfugi e inganni trattiene il Benini in Kenya ammaliandolo con mirabolanti progetti e con il fascino esotico personale e del luogo.
Quelli dei due protagonisti sono i classici caratteri opposti in puro stile SORPASSO (come ampiamente scritto da altri): Alessandro tutto d’un pezzo, poco incline ai facili entusiasmi, discreto e serio, ricerca solo la verità sulla morte del padre; Fulvio dal look alla Italo Balbo è il prototipo dell’italiano all’estero, metà Briatore ante litteram, metà Bruno Cortona (citazione d’obbligo ad un certo punto) che usa la sottile arma del ricatto (con tutti i soci colonizzatori) e della seduzione, prima con Benini padre e ora con Benini figlio. Personaggio sgradevole, piacione, uomo essenzialmente solo nonostante l’indole estroversa, forse omosessuale, cita alla rinfusa Mao e Rimbaud (la vecchia Europa è fottuta), nostalgico degli anni sessanta e dell’Italia (rivede registrazioni di “Un, due, tre” con Vianello e Tognazzi e di televendite), soffre di febbri malariche (che ricordano l’Albertone in trasferta australiana), sogna in grande e fa il capopopolo di italiani arricchiti in vacanza. In un prefinale convulso dà fastidio all’inesorabile serpente mamba. E’ la chiusura fatale del cerchio. Abatantuono è perfetto nella parte, istrione e negativo come raramente gli è capitato in carriera. Don Secondino (interpretato egregiamente da Tony Sperandeo) aveva avvisato Alessandro sulla colonia di caccia e di villeggianti volgari instaurata dagli italiani nel cuore dell’Africa. Questo gruppo è variamente rappresentato da un vanesio monsignore (Ivo Garrani), dal politicante maneggione della Prima Repubblica Vincenzo Sparafico (un Gianfranco Barra particolarmente ripugnante), da Alberto (Maurizio Mattioli in nuce) romano caciarone con figlio ritardato munito di Rolex e cellulare prima maniera, inoltre da una schiera di faccendieri e latifondisti poco approfonditi ma sintomatici di una certa italianità cialtrona e squallida sparsa nel mondo. Il Feletti di Bruno Corazzari pare distinguersi, così come la Francesca compagna del defunto Benini. Fino a pagina due ovviamente, perché sempre di negrieri moderni trattasi. Il buon Alessandro osserva, parla poco, ascolta, indaga, assiste l’ambiguo Colombo e resiste alle cattive tentazioni. Corso Salani era un interprete schivo e ideale per ruoli del genere.
Risi denuncia, graffia, cita il padre (UNA VITA DIFFICILE nella festa in piscina con il trio di protagonisti al meglio), stringe l’occhio senza fare il ruffiano ma non convince totalmente. Il suo è un ibrido che, da qualunque parte lo si voglia guardare, lascia l’amaro in bocca.
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