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Ligabue

Regia di Salvatore Nocita vedi scheda film

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La recensione su Ligabue

di Baliverna
8 stelle

La storia di Antonio Ligabue, uomo disadattato e pittore geniale, ambientata in una Valpadana nebbiosa e invernale come non mai.

Ho voluto rivedere questa miniserie della Rai, ripescandone qualche frammento dai recessi più reconditi della mia memoria.
Innanzitutto bisogna dire che non c'è niente di più diverso dalle serie odierne, un diluvio di titoli che passano senza lasciare traccia nella memoria della gente. Ma "Ligabue" me lo ricordavo e come. Ha un andamento appena lento, uno stile semplice e antispettacolare, mai lucidato o patinato. Non ammicca mai ai gusti più superficiali del pubblico, e non edulcora in alcun modo i fatti raccontati; è anzi un film ruvido, in alcuni punti sgradevole, che si accontenta di ricostruire i nudi accadimenti, senza glossa o quasi.
La colonna dell'operazione è l'attore Flavio Bucci, il quale interpreta un personaggio difficile e non simpatico, sempre in bilico tra genio e follia (e non genio e sregolatezza, come dice il breve commento sul DVD). Bucci non spinge mai troppo oltre nel territorio della malattia mentale, sì da non farne un pazzo da manicomio e basta. Ligabue è un disadattato, un nuomo che non sa stare con gli altri e a malapena con se stesso, un orso solitario e scontroso. L'essere evitato dai più e l'allontanare deliberatamente la gente da sé formano un circolo vizioso del quale è difficile scoprire il punto di partenza. L'origine dei suoi scompensi e disturbi dell'umore è da ricercare nella sua infanzia e giovinezza, più precisamente in una famiglia d'origine marcia e piena di misteri. Non viene chiarita, ad esempio, se l'idea di suo padre uxoricida fosse una sua fissazione senza fondamento, oppure una sua intuizione. Il suo forte disagio non può non influire sui quadri che dipinge, i quali esprimono in modo indiretto rabbia e sofferenza, oltre che una grande tristezza (vedasi l'autoritratto). Il terzo episodio, che è il migliore, ci mostra però un Ligabue un po' più tranquillo e integrato nella società del paese; pare che il successo e l'accettazione da parte della comunità - benché a volte interessata - abbiano alla lunga smussato gli spigoli del suo carattere e sfumato l'idea piantata nella sua mente di essere rifiutato da tutti.
L'interpretazione di Bucci osa fino ai confini del plausibile, senza però scivolare in eccessi teatrali; si può dire pertanto riuscita. Ho trovato poi molto bravo il giovane Alessandro Haber. La penna di Zavattini e la direzione di Nocita, comunque, danno realtà e consistenza ai molti personaggi secondari. Le annotazioni storiche (ascesa del fascismo, guerra, caduta dello stesso) sono pertinenti e non ingombranti o ideologiche. Non manca però pure qualche stoccatina in sordina, come il personaggio di Mazzacurati, prima fascista e poi promotore di monumenti alla resistenza.
Un'altra nota di merito è secondo me il non aver ceduto ad una tentazione che se ne stava lì ad aspettare, cioè il fare dello scontroso pittore un contestatore moderno, una voce rabbiosa che critica l'ipocrisia della società. Per fortuna, viene semplicemente dipinto il ritratto non compiaciuto di un uomo che non andava d'accordo con gli altri.
In generale, è un film per la TV vecchio stampo, diretto e interpretato bene, essenziale, mai ruffiano con il pubblico e per nulla celebrativo. E' esemplare di una televisione intelligente, ormai sepolta nel passato. Lo stesso Nocita non si sarebbe più ripetuto allo stesso modo in opere successive, lucidate e impersonali (come "I promessi sposi"). Bella la sigla con le musiche di Tovajoli. Quando la Rai pubblicizza queste serie con la dicitura "I migliori anni della nostra televisione" si fa in realtà un bell'autogol.

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