Regia di Renato Castellani vedi scheda film
Come diceva qualcuno, il neorealismo è il nostro vestito buono. Ed è un’immagine curiosa perché uno degli argomenti del filone (la povertà) è legato all’abbigliamento (vestiti sporchi, stracciati, bucati) e quindi anche alle scarpe nuove, che in Sotto il sole di Roma rivestono un ruolo fondamentale. Ma il neorealismo è anche un calderone in cui si è gettato più o meno qualunque cosa prodotta in Italia con due lire, attori presi per strada e soggetti reali(stici). Tuttavia il film di Renato Castellani appartiene sicuramente a questa categoria dello spirito perché sa mettere in scena e quindi sa far parlare la povera gente, gli umili, i figli del popolo. Benché non immuni da un’idealizzazione a tratti perfino erotica, i giovani di Castellani esprimono la genuina sfrontatezza, l’intraprendente pigrizia, il cinico disincanto della città nascosta (Geppa che abita nel Colosseo), rimossa (i bagni alla marrana), sfregiata (le macerie della guerra).
Lunga più o meno un decennio, è una piccola cavalcata nobilmente plebea in un sapiente equilibrio tra accenni di commedia all’italiana (le tre scene con Alberto Sordi, primigenia maschera dell’italiano mediocre che s’arrabatta e se la cava sempre) e sentimentalismo sinceramente accorato (la sequela di morti, certo, ma soprattutto la straziante immagine del bambino a lutto che carezza le righe del piumone). Film circolare che si apre e si chiude in nome della continuità, con il solito finale in crescendo speranzoso (sottolineato dalle musiche di Nino Rota) eppure inevitabilmente venato d’una disperazione soffusa tipica di molto cinema di Castellani.
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