Regia di Patricia Rozema vedi scheda film
25 COURMAYEUR NOIR FESTIVAL – CONCORSO
Ritorna a farsi vedere, a farsi giudicare e a raccontarci una storia dai contorni estremi, la regista canadese nota per il romantico “Ho sentito le sirene cantare” in pieni anni '80, in un film prodotto, oltre che interpretato, dalla giovane Ellen Page, per l'occasione affiancata dall'eterea Evan Rachel Wood, nei panni, fisicamente non molto probabili, vista la disparità fisica tra le due che definirei eclatante, della sorella.
Una vicenda apocalittico-ecologista che si rivela pian piano invero, a mio giudizio, come sempre pienamente opinabile, un tranello ricattatorio e molto improbabile che impone alle due protagoniste scelte comportamentali francamente piuttosto poco opportune o probabili, e in questo senso smorzando non poco l'effetto magnetico e, almeno inizialmente, incalzante che la vicenda si trascinava dietro.
Tutto comincia il giorno in cui l'elettricità si interrompe lungo tutta una vasta area territorriale che comprende buona parte delle fitte foreste che riempiono un intera regione canadese non ben specificata.
Gli abitanti del luogo iniziano, loro malgrado, ad adattarsi usufruendo di quello che la natura offre loro come sostituto della tecnologia, che anche in quei posti, ancora legati alla natura circostante e alle sue leggi ancestrali ormai consolidate, ha da tempo sostituito o almeno coadiuvato alternandosi a sistemi di sfruttamento energetico più antichi e tradizionali.
Un ritorno allo sfruttamento delle opportunità e ricchezze del bosco, alla raccolta della legna per assicurarsi il riscaldamento e la cottura dei cibi, all'utilizzo di ciò che offre la natura, la sua vegetazione fino ad un ritorno forzato alla cacciagione, laddove nei supermercati l'assalto all'accaparramento dei generi alimentari primari ha creato dapprima solo scarsità di risorse, poi in seguito vera e propria penuria, fino a che anche il carburante si esaurisce rapidamente.
Infatti, apprendiamo insieme alle protagoniste, che qualcosa di molto grave è successo e la mancanza di elettricità perdura e non pare potersi riprstinare la situazione di normalità a cui tutti ormai anelano. Nelle città la delinquenza dilaga, e pertanto il padre e le due figlie ventenni si rifugiano nel loro moderno chalet in mezzo alle foreste.
Purtroppo il genitore muore presto, troppo presto, in occasione di un incidente con la motosega, e le figlie dovranno arrangiarsi da sole, inizialmente ognuna protesa a continuare a coltivare i propri interessi e sogni (studentessa una, ballerina in cerca di tardiva affermazione l'altra), scendendo a patti con la nuova catastrofica e pericolosa situazione che le vede loro malgrado coinvolte.
Molte vicissitudini si opporranno ad un prosieguo ordinario di una vita comunque tutta da riorganizzare, e le ragazze dovranno misurarsi con i propri istinti e scendere a patti con i pericoli e le trappole che un nuovo mondo più vero e diversamente pericoloso rispetto a quello che fino a poco prima accompagnava le vite delle due, metterà dinanzi alle rispettive esistenze, giunte ad un bivio.
A questo punto la Rozema intraprende un percorso teorico piuttosto controverso che prevede scelte e soluzioni francamente poco probabili e accettabili nella dinamica narrativa del film, che servono, e lo possiamo capire più che accettare, alla regista e sceneggiatrice per avallare certe teorie e concezioni magari suggestive e sulla carta condivisibili, ma che si scontrano ed oppongono con la razionalità e la realtà circostante.
E dunque cavità di alberi che diventano prima alcove ove consumare storie d'amore, poi addirittura la casa del futuro per la nuova famiglia che andrà a completarsi, dopo che la casa dei bei tempi comincia a cedere alle intemperie di una natura non proprio benigna. Situazioni che degenerano il complesso della narrazione in un fastidioso intrico di avvenimenti a stento accettabili e piuttosto fastidiosi da digerire.
Insomma il desiderio di mantenersi coerente a teorie ecologiche sulla carta ineccepibili, ma invero più teoriche e bidimensionali che concrete, servono solo per giustificare un prosieguo spesso inaccettabile ed ingiustificato di una vicenda che rinuncia ad affrontare il suo lato orrorifico o noir per concentrarsi su tematiche magari più mature e serie, ma che finiscono per rendere tutto il percorso meccanico e forzato, troppo evanescente e contrario ad ogni regola ispirata al buon senso e al vero, reale senso di sopravvivenza che è aupicabile si innesti nelle persone sottoposte ad una situazione forzata di sfida contro una natura difficile da governare. Soluzioni che sembrano posticce e prese a tavolino per la salvaguardia di una presa di posizione più politically correct, e di fatto più irreale che probabile od illuminante/necessaria per garantire la sopravvivenza.
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