Regia di Ettore Scola vedi scheda film
La trama sfuma, relegata sullo sfondo del confronto tra i due mostri sacri. Una preziosa fotografia di un mondo che soltanto un paio d'anni dopo avrebbe abbracciato l'eterno altrove del telefonino. Grande prova dei protagonisti, e inevitabile la malinconia del senno di poi. Per loro, ma anche per noi.
Marcello Mastroianni io non l'ho mai conosciuto, cinematograficamente parlando. Forse è la mia generazione, che l'ha mancato: il cinema che l'ha reso famoso nel mondo si è fermato lì, proprio come la candela che brucia da due lati, facendo il doppio della luce, ma spegnendosi nella metà del tempo. Quei film in bianco e nero, per noi nati all'alba della tv a colori, sembravano vecchissimi e lontani: vestigia sopraffatte dall'incedere spasmodico di quella stessa modernità che aveva dato loro i natali.
Massimo Troisi resterà per sempre come un amico scomparso prematuramente. Ho fatto a malapena in tempo ad apprezzarlo, che la sua malattia lo ha sottratto prematuramente al futuro brillante che sembrava impresso nel suo destino. La televisione aveva contribuito di certo alla sua fulgida e repentina ascesa.
Due attori, due persone, con un vissuto agli antipodi: uno passato da anni e anni di gavetta, quando il cinema italiano stava a malapena sbocciando, l'altro letteralmente esploso dall'oggi al domani. Uno cresciuto all'ombra del peggior conflitto mondiale, e l'altro nato nel pieno della rinascita. I rispettivi vissuti si riverberano in ognuno di noi, e si amalgamano con le attitudini innate: da un lato l'uomo sicuro di sè e del proprio carisma, invecchiato precocemente dalle prove dell'infanzia, e, dall'altro lato, un eterno adolescente, cresciuto con calma all'ombra rassicurante di una società sempre più votata all'agio e al benessere, e però anche disorientato e insicuro. Non è difficile intuire come i ruoli siano stati ricamati attorno alle peculiarità di ciascuno dei protagonisti, che dell'opera rappresentano il capitale indiscusso.
Un destino imprevedibile e crudele avvicinava quei due personaggi, entrambi prossimi al gran finale della più grande rappresentazione di tutte: la vita. E chi l'avrebbe mai detto che proprio Massimo sarebbe stato il primo? Qui, ormai prossimo ai quaranta, non sfigura nei panni di quello che i dialoghi suggeriscono essere un "circa" venticinquenne, che ha goduto del rinvio della leva fino alla laurea, evidentemente fuori corso. Già un paio di anni dopo, in Pensavo fosse amore... invece era un calesse, lo ritroveremo apparentemente più dimesso e meno in forma.
Sicuramente l'impostazione privilegia i dialoghi e le personalità dei due mostri sacri, consegnando loro le chiavi e le speranze di successo o disfatta. Il risultato può piacere o meno, ma certo spicca per l'originalità, specie nel panorama nostrano, assai poco coraggioso in tal senso, e più incline ad affidarsi a clichè e stereotipi, forse anche per la congenita scarsità di fondi e produttori.
Accanto al duo di attori italiani, (ri)scopriamo una inaspettata Anne Parillaud, che soltanto l'anno dopo sarebbe assurta agli onori delle cronache cinematografiche (e non) con Nikita di Luc Besson. La sua presenza, che per certi versi può sembrare perfino un fuor d'opera, impreziosisce e arricchisce comunque la storia, e di certo è una piccola chicca per cinefili, (anche) ad anni di distanza.
L'intento di inserirsi nel filone del dibattito intergenerazionale e nella riflessione socio-esistenziale si dimostra quasi subito limitato e con il fiato corto, in un'opera palesemente imperniata sulla personalità degli attori, e - perfino per l'epoca - alquanto datata nelle dinamiche padre-figlio. Quasi paradossalmente, per un film "di attualità", è forse maggiore il suo valore postumo, almeno per chi quegli anni li ha vissuti e li può oggi soltanto ricordare. I dialoghi interrotti soltanto dai "bip" del dispensatore di farmaci (giapponese, perchè all'epoca da lì venivano questi gadget), le telefonate dai telefoni a gettoni, i bar come luoghi di ritrovo, le citazioni letterarie come "gioco", il ristorantino senza troppe pretese, ma con il cameriere in divisa, i negozietti anzichè i centri commerciali, la Tema turbo 16 valvole, e non la Jeep ibrida plug-in, (finta) ecobio, impatto (10)0. Un padre che si scusa per aver detto "cacchiarola" al figlio, oggi, non sarebbe nemmeno ipotizzabile.
Sarà la consapevolezza del destino che di lì a poco sarebbe spettato ai protagonisti, sarà l'atmosfera già per l'epoca molto "delicata", sarà lo scorcio di periferia accogliente e amichevole, e forse perfino una certa ingenuità di fondo dell'intera opera... ma ecco spalancarsi le porte della nostalgia. Sarà un film imperfetto, magari anche dalle aspettative tradite, però... ci lascia con un sogno: quasi che potessimo svegliarci in un domani in cui Massimo è ancora tra noi, magari stavolta vestendo i panni del padre, con quei suoi modi delicatamente dissacratori, a far da antidoto a questo modo di rappresentare, vite come film, sempre più scompostamente e con sempre meno eleganza.
E' senz'altro vero: Che ora è non è perfetto, non racconta vite perfette, non è interpretato da attori perfetti. Soltanto, però, ci rammenta che tutti, padri, figli, persone, potrebbero essere migliori semplicemente accostandosi all'altro con delicatezza, in punta di piedi, ascoltandolo e ritrovando la semplicità dei rapporti.
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