Regia di Federico Fellini vedi scheda film
Uno degli innumerevoli filoni che scorrono attraverso la filmografia di Fellini, quanto meno a partire da La strada (ma forse riscontrabile implicitamente anche nei film precedenti) è costituito dall'interrogativo “cosa ci stiamo a fare a questo mondo?”. Al tirare delle somme, anche l'ultima opera felliniana, al di là della denuncia della volgarità dei tempi moderni (che negli oltre trent'anni trascorsi non è certo diminuita) e dell'invito a fare silenzio per ascoltare meglio, continua a porre la domanda di cui sopra, posta forse con toni più consapevoli rispetto a quelli di Gelsomina da parte di un personaggio che potrebbe essere un discendente lunare di Giacomo Leopardi, uno cui piace ricordare più che vivere. In questo filone, dunque, Ivo Salvini (un Benigni che ricorda il Guizzardi di Celati, ma purtroppo già anticipa il proprio Pinocchio) si apparenta a Cabiria così come a molti altri personaggi felliniani, da Gelsomina a Casanova. La risposta – una risposta – all'interrogativo di cosa ci facciamo nel mondo la forniva già il Matto a Gelsomina nella Strada, quando le diceva che niente è stato creato per caso e che tutto ha una propria funzione, perfino un “sassetto” raccolto dal suolo. Ecco, questo, a mio parere, non fa di La voce della luna, rivisto a tanti anni di distanza dalla prima volta, un film migliore: anzi, rientra ancora, nella terna dei film meno riusciti del regista riminese, insieme a Giulietta degli spiriti e Intervista (secondo me il meno riuscito in assoluto), con un personaggio sconclusionato ed incoerente come l'Ivo Salvini che inusitatamente sembra acquistare consapevolezza di sé proprio sulla pista della discoteca. E tuttavia l'ultimo lavoro di Fellini, proprio come la pietruzza del Matto, ha un senso nella cinematografia di quegli anni (il film uscì nel 1990), già messi alla berlina dal regista con ben altra efficacia in Ginger e Fred ed ulteriormente incattiviti.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta