Regia di Byron Haskin vedi scheda film
Scolastico, ma godibile.
Il romanzo originale di Stevenson incarna proprio tutte le caratteristiche fondanti del genere d'avventura, e in via del tutto teorica ben si presterebbe a una trasposizione cinematografica. La mappa è l'elemento imprevisto che strappa i protagonisti al loro tran tran quotidiano; l'isola è il luogo lontano dove tutto diventa possibile, e dove gesta rischiose di eroi improvvisati e improbabili possono trovare una loro concreta realizzazione. C'è il nemico, uno dei villain migliori della storia del romanzo d'avventura, Long John Silver, che tra un voltafaccia e l'altro proprio non riesce a risultarci antipatico; c'è la battaglia aspra e cruenta; c'è la formazione del giovane Hawkins, che in prima persona ci racconta la sua graduale maturazione da ragazzino a uomo d'avventure. E ci sono tante altre cose che sono sostanzialmente impossibili da riprodurre su una pellicola cinematografica. Perché L'isola del tesoro non è grande solo per i temi che sviluppa, ma anche per i suoi momenti e i suoi particolari. Il rumore della risacca sugli scogli, il pappagallo che incessantemente urla il suo "Pezzi da otto!", il sole che brilla implacabile, l'odore della polvere da sparo al mattino (semicit.): la quotidianità dello stare su quell'isola malsana, maledetta e incantata allo stesso tempo, è ricreabile solo sulla pagina di un libro. I ritmi di un film, per esempio, non possono restituire le emozioni dell'incontro con il solitario Ben Gunn, dalla paura, allo sgomento alla compassione per il suo dramma. Quello che su un libro dura sei pagine, nel film vola via in 20 secondi. Il massimo risultato raggiungibile è quindi una versione scolastica e godibile che mette in scena diligentemente gli stessi incredibili fatti narrati da Stevenson, ma non può ricrearne lo spirito per limiti oggettivi del mezzo cinematografico.
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