Regia di Stefano Mordini vedi scheda film
C'erano diversi modi per portare sullo schermo il romanzo di Giuseppe Ferrandino che da il titolo al film. Nel libro dello scrittore campano la storia è ambientata tra Napoli e Pescara, le città scelte in cui si snoda la vicenda di Pericle, faccendiere di un boss camorrista che un bel giorno è costretto a darsi alla macchia per sfuggire alla vendetta del datore di lavoro che lo deve sacrificare per scongiurare il giro di vite innescato dalla morte di un membro di un clan rivale. E sempre alla fantasia dello scrittore campano va assegnata l’originalità della storia caratterizzata dal rituale del protagonista che si guadagna il companatico sodomizzando le sue vittime dopo averle tramortite con mezzi di fortuna. Un particolare che aiuta a capire l’interesse di Abel Ferrara, più volte sul punto di girarne una versione con Riccardo Scamarcio rimasto nel progetto sia in veste d’attore che, in coabitazione con Valeria Golino, di responsabile ultimo dell’intero ambaradan. Ed è proprio la presenza di Stefano Mordini in cabina di regia e dei Fratelli Dardenne coinvolti in chiave produttiva a farci pensare che quella appena vista sia solo una delle traduzioni possibili di “Pericle il nero” che rispetto alle atmosfere sulfuree evocate dal cinema di Ferrara opta per un adattamento di segno opposto tanto sul piano formale quanto su quello drammaturgico. In questo senso a fare la differenza sono in ordine di importanza la scelta di ambientare la storia prima in Belgio e poi in Francia, con l’anonimato urbano della città di Liegi e la desolazione esistenziale della marina invernale della cittadina di Calais a raffreddare il pathos scaturito dalla rapidità dell’escalation di violenza che si abbatte sul protagonista e dal senso di abbandono conseguente alla consapevolezza di Pericle (orfano di entrambi i genitori) di essere stato rinnegato dal suo padre putativo. E, in secondo luogo, uno stile di regia che potremmo definire sociale per le caratteristiche di pedinamento e di scoperta ambientale perseguite da uno sguardo che fa di tutto per non esaltare il potenziale emotivo e spettacolare di un plot che si colloca nei dintorni di quel mob movies inaugurato dal “Gomorra” di Matteo Garrone, e oggi più che mai in voga grazie al successo dell’ omonima serie televisiva. Così oltre agli inseguimenti e alle sparatorie lasciate debitamente fuori campo, “Pericle il nero” si distingue anche per la capacità di far convivere le atmosfere da tragedia shakesperiana insite nella tensione incestuosa e nel desiderio di sangue che si respira all’interno del consesso famigliare di cui Pericle in qualche modo è parte in causa con le caratteristiche da romanzo di formazione della struttura narrativa che sotto traccia ma in maniera evidente mette insieme un excursus esistenziale di scoperta e di prese di coscienza che cambieranno per sempre la vita del protagonista. Un equilibrio che a livello visivo si traduce nel ricorso a un’ alternanza di primi piani e campi lunghi capaci di portarci dentro l’universo del protagonista, facendocene condividere il dramma e le vicissitudini, e subito dopo di farcene prendere le distanze, quasi a voler restituire il destino del personaggio al mondo che lo ha generato. Pur con qualche debolezza di scrittura quando si tratta di raccontare l’incontro di Pericle con quella che potrebbe essere la sua nuova famiglia, “Pericle il nero” è un film convincente che tra i suoi meriti ha quello di regalarci un ottimo Riccardo Scamarcio, perfettamente calato nel fisico e negli umori di un personaggio dal sapore dostoevskijano.
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