Regia di Hadar Morag vedi scheda film
Il vento soffia sulla spiaggia, vicino al mare. Un ragazzo o forse un uomo, probabilmente Muhammed, guarda il mare con le braccia sollevate come un crocifisso.
Perché mi hai abbandonato?
Muhammed vive e vaga in una città povera e decadente e si sposta in bicicletta come il protagonista di un film dei Dardenne. Lavora con fatica nella bottega di un fornaio confrontandosi quotidianamente con uno strano macchinario che ad ogni passaggio tende a smontare il coperchio superiore, che Muhammed è costretto a tenere fermo. La farina va ad affiancarsi al pulviscolo nell’aria sospesa.
È questa una delle sequenze iniziali di Why Hast Thou Forsaken Me?, un esperimento di scandaglio interiore di un’umanità totalmente lasciata in balìa di se stessa a viaggiare in un paesaggio su cui non si possono nemmeno trovare appigli emozionali, riflessi di una condizione esistenziale, se non la conferma che l’uomo è destinato a perdere l’innocenza troppo presto. Nonostante sia alla sua opera seconda, la regista israeliana Hadar Morag dimostra ancora troppo entusiasmo nel disperdersi in curiose trovate visive però totalmente scollegate dall’intento estetico-contenutistico del film. Per questo rende il suo lavoro visivamente dispersivo, indeciso su che strada prendere, anche quando viene a defilarsi una trama in quanto tale, prima annacquata in una debole inquadratura del contesto. Aggiungiamo poi che questa, trattando del rapporto fra Muhammed e il motociclista Gurevich, si affianca a un evidente rischio, nelle scelte narrative, che rende Lama Azavtani un vero e proprio pugno nello stomaco per lo spettatore, costretto a subire nel finale una mutilazione genitale sporca e fastidiosa che non si riesce a rimuovere dalla memoria.
Alternando una cinepresa a mano al limite del documentaristico a delle carrelate con steady-cam (gli spostamenti in bici) e dei piani fissi che sanno trasformare, in pochi attimi, la spazzatura in materiale onirico, la Morag nega furiosamente la deriva edificante non concedendo né false speranze né un evenetualmente accomodante percorso di formazione del giovane. Sempre sul filo del rasoio, sempre sul rischio di ferirsi e di farsi male (viene da coprirsi gli occhi quando Geruvich e Muhammed affilano le lame dei coltelli sul tornio), i due protagonisti vengono raccontati attraverso una sotterranea perdita del loro controllo. La Morag fa parlare lo sporco, il grigiore, la faccia sconvolta e corrotta di Muhammed, che saprà esperire il carattere più profondamente disperato della condizione umana. E pur essendoci quel limite visivo e quel piglio un po’ autorialista che indirizza il film esplicitamente verso i circuiti festivalieri, Why Hast Thou Forsaken Me? merita la visione e la sopportazione dello spettatore, concedendo un assurdo momento di carnale tenerezza soltanto nell’ultimissima immagine. Si astengano però i più sensibili.
In concorso nella sezione Orizzonti a Venezia 72.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta