Regia di Jacques Doillon, Alain Resnais, Jean Rouch vedi scheda film
Tre autori di provenienza eterogenea si riuniscono per questo progetto di indubbio interesse: l'esordiente Jacques Doillon, che già aveva firmato qualche cortometraggio; il documentarista antropologo Jean Rouch, stimato dalla nuovelle vague; e il più celebre del terzetto, Alain Resnais, da qualche anno lontano dalle scene (la sua ultima regia, Anatomia di un suicidio, risaliva al 1968). A quanto è dato di sapere, il primo è il vero autore della gran parte della pellicola, mentre al secondo e al terzo sono state riservate solo alcune sequenze. I contenuti sono invece farina del sacco di Gebè, disegnatore celebre per l'omonima striscia L'an 01 e futuro direttore di Charlie hebdo. Si tratta in sostanza di una rivisitazione ironica dei miti e degli slogan del Sessantotto, già così lontani, se non addirittura improponibili o ridicoli, pochi anni più tardi; la conclusione - mai esplicitata, ma raggiungibile facilmente attraverso il sarcasmo della materia narrativa - è che gli echi delle rivendicazioni giovanili e delle proteste contro il sistema che caratterizzarono il movimento sessantottino sono immediatamente scomparsi e quelle battaglie sembrano fin da subito datate, inattuabili e frivole. Constatazioni non poco coraggiose, specie in un Paese come la Francia, dove al Sessantotto fu riservata molta più importanza che da noi. La maggior parte degli interpreti in scena è sconosciuta, ma qua e là fanno capolino nomi di un certo rilievo: nei primi minuti compare brevemente il giovane Gerard Depardieu; in seguito transiteranno lungo la pellicola anche Coluche, Christian Clavier (al debutto, avrà una luminosa carriera) e il regista di futuro successo - fino a quel momento autore solo di qualche corto - Patrice Leconte. 6/10.
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