Regia di Noah Baumbach, Jake Paltrow vedi scheda film
«Sono il terzo e ultimo figlio di un ortopedico chirurgo. Da ragazzino mai avrei pensato di dedicarmi al cinema, ero più attratto dalla matematica, dalla fisica e dalle materie scientifiche»: ha inizio così la confessione fiume che Brian De Palma concede al duo di regist Noah Baumbach e Jake Paltrow, da quando ragazzino si teneva lontano dal mondo del cinema per inseguire altri sogni.
Partendo da lontano, dal momento in cui per scherzo inizia prende in mano una cinepresa per il corto Woton's Wake e dall'amicizia con Wilford Leach, De Palma passa in rassegna la sua intera filmografia soffermandosi con dovizia di particolari su ogni singolo titolo, sulle vicende produttive che lo hanno accompagnato e sulle (dis)avventure sui set.
Dai primi prodotti realizzati quasi per caso ma in grado di attirare l'attenzione della critica (ma non del pubblico) - come Ciao America e Oggi sposi - a Redacted del 2007 (stranamente De Palma non cita Passion, arrivando in un momento della confessione a farlo comparire quasi come ininfluente nella sua filmografia), il regista si diverte e diverte passando in rassegna quasi cinquant'anni di cinema americano. Nel vincere la ritrosia che da sempre lo accompagna, si lascia andare ad aneddoti privati che più di una volta strappano il sorriso o accendono gli animi di rabbia per quanto cieco sia il mondo degli studios americani. Pellicole bocciate dalle produzioni o massacrate dalla commissione censura che diventano capolavori nella filmografia depalmiana o, viceversa, lungometraggi considerati inestimabili come Carlito's Way giudicati soltanto buoni dal regista, quasi rammaricato di non essere riuscito ad andare oltre.
Ascoltando De Palma, si scopre come ad esempio sono nate le colonne sonore composte con Bernard Herrmann, come le sue prime opere fossero segnate da Vertigo o Psycho di Hitchcock, a quando risale la sua amicizia con Bob De Niro, quanto difficile possa essere assecondare i capricci di produttori o sceneggiatori (esilarante la storia dei due sceneggiatori di Mission: Impossible, che non tollerandosi a vicenda lavoravano separati), da quale intuizione sia nata la sua passione per lo split screen e quale idea abbia sui remake odierni («è bello vedere gli errori che commettono e che tu non avresti commesso mai», alludendo al remake di Carrie) o sul cinema di oggi («i film son tutti uguali, effetti digitali e identici movimenti di camera).
Dal successo di Scarface e Gli intoccabili (con i relativi dubbi sull'ambientazione del primo dapprima in America Latina e con le ritrosie per il secondo su Kevin Costner, al quale avrebbe preferito Don Johnson) alle scelte di cast per Vittime di guerra (set in cui i protagonisti Michael J. Fox e Sean Penn poco si sopportavano) passando per il lungo legame di amicizia con Pino Donaggio, con Steven Spielberg e con Martin Scorsese, De Palma seduto sul suo divano analizza anche i flop («Il falò delle vanità preso a sé è un buon film, basta non aver letto il libro»), il perché non ha diretto Cruising passato all'amico Friedkin, il suo odio per le scene di inseguimento in auto («dopo Il braccio violento della legge nessun inseguimento potrebbe lasciare il segno»), le lotte per assicurarsi budget o attori spesso rifiutati dagli studios o il divismo di Tom Cruise. Mentre la telecamera rimane fissa sul suo volto e indugia sulla sua risata contagiosa, sullo schermo scorrono spezzoni dei suoi film, dei suoi corti, dei suoi spot e dei suoi videoclip musicali, mentre il regista ricorda di come ha voluto rendere antipatico Tom Hanks nel Falò, di come abbia rifiutato la regia di Flashdance, di come abbia cacciato Oliver Stone da un suo set o di come si sia ispirato ad Antonioni per Blow Out (il più grande disastro commerciale della sua carriera), rammaricandosi di non poter realizzare più buoni film («le opere migliori si fanno quando hai 30, 40 o 50, anni»).
Documentario che più classico non si può, De Palma ha il grande pregio di coinvolgere dal primo all'ultimo minuto senza interrompere il brainstorming del maestro con l'intervento di testimonianze terze. Cosa rara in un momento in cui il genere del documentario fa la rincorsa agli interventi di personalità più disparate per assurgere al grado di verità assoluta.
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