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Winter on Fire

Regia di Evgeny Afineevsky vedi scheda film

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La recensione su Winter on Fire

di EightAndHalf
6 stelle

Evgeny Afineevsky costruisce un documentario di parte su un capitolo della recente Storia (europea), la terribile rivoluzione ucraina che andò dal novembre del 2013 al febbraio del 2014. E si dice “di parte” perché non ci sono dubbi, la sua voce è quella del popolo contrario alla decisione di Yanukovich di annettere l’Ucraina alla Russia, provvedimento condotto in segreto sotto una facciata diplomatica ben diversa, quella degli accordi con l’Unione Europea. Sopra il nome di Afineevksy, il marchio di Netflix.

 

 

È anche biasimabile il tentativo, evidente già in partenza, di rendere gli eventi ucraini come i passaggi di un film spettacolare: l’utilizzo della musica, sempre enfatica a sottolineare i climax di tensione, e l’alternanza di video di repertorio e interviste, rivela proprio questo “riaggiornamento” formale che agisce soprattutto tramite il montaggio. È però proprio in questa dimensione, quella estetica, che Winter on fire presenta il suo punto di forza: i filmati di repertorio non sono necessariamente quelli giornalistici, della televisione, ma sono ripresi da smartphone, cellulari, strumenti alla portata di tutti, a indicare con ancora più fermezza che quel film è proprio il film di chi ha lottato per la libertà e grazie anche ad alcuni sacrifici (si contano circa 125 morti) ha trionfato. È proprio quello il punto di vista.

 

 

Sembrerebbe anche troppo scontata come struttura, quella del film, perché è quasi quella di un film banalmente costruito, con morale assortita e vittoria finale (sta a vedere poi se nella Storia esista davvero il lieto fine), ma se anche si pecca di ambiguità, con i ruoli dei manifestanti pacifici e poi dei Berkut cattivi, ad essere sempre ribadita saggiamente è l’assurdità di una guerra civile in cui i fratelli si mettono a lottare contro i propri fratelli, certuni si svendono per pochi denari dalla parte della polizia, e certi manifestanti si fanno provocare a tal punto da reagire tanto violentemente quanto gli uomini con casco e manganello. I manifestanti violenti hanno però colpe sempre stemperate dall’indignazione e dall’esaurimento di chi lascia le proprie case e si barrica nella piazza Maidan per la propria dignità.

 

 

Viene comunque un macerante dubbio. Il manicheismo tracciato dal film è in qualche modo quello tracciato dalla Storia, perché nel 2013 i Berkut furono aboliti, e alla minaccia di una rivolta armata da parte dei manifestanti Yanukovich scappa dimettendosi senza regolari processi costituzionali. Dunque accusare per disumanizzazione dei poliziotti Winter on Fire sarebbe come accusare a priori un film in cui i nazisti vengono visti come macchine da sterminio senz’anima. Per quanto i dubbi assalgano, vogliamo salvare Winter on Fire quantomeno per l’ostinazione con cui racconta ogni singolo passaggio della crisi ucraina (con tanto di cartina che illustra gli spostamenti dei cortei e i punti critici delle guerriglie) e per come riesce a trasmettere allo spettatore la stessa ansia di chi dietro quelle barricate c’è davvero stato.

 

Presentato fuori concorso a Venezia 72.

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