Regia di Zhao Liang vedi scheda film
«Il quinto giorno Dio creò la bestia Behemoth. Era il più grande mostro sulla faccia della Terra. Per sfamarlo, occorreva il cibo prodotto da migliaia di montagne».
Si apre con questa citazione biblica, Behemoth di Zhang Liang, complessa opera a metà tra documentario, fiction e viaggio onirico, che vede lo stesso regista muoverse attraverso le vaste zone interne della Mongolia. Il suo obiettivo è quello di mostrare, seguendo una struttura che ricalca esplicitamente quella della Divina Commedia di Dante, fino a che punto si spinga la follia della contemporanea Cina, protesa verso il progresso a discapito dei sacrifici umani che dovrà pagare.
Il primo girone dell'ipotetica Commedia si ferma nelle montagne in cui si estrae carbone. Le vaste distese, un tempo verdi, sono adesso ricoperte di polvere nera e marrone, la stessa polvere che si insedia sul volto dei minatori e nei loro polmoni. Giorno e notte, i lavoratori non cessano di scavare, picconare e trasportare residui, per separare il carbone dalla roccia. Ciò è il primo passo di quel particolare purgatorio che conduce gran parte di loro ad ammalarsi di pneumoconiosi, un'affezione dei polmoni provocata dall'inalazione di polvere. A causa della pneumoconiosi, i lavoratori sono più soggetti all'enfisema e all'arresto cardiaco e, dunque, più vicini alla morte. Il loro sacrificio serve alla costruzione di paradisi terrestri, che si tramutano in modernissime città fantasma, prive di abitanti ma linde, perfette e pronte ad accogliere in un ipotetico futuro nuovi residenti.
Noto per essere uno straordinario artista concettuale e visivo prima che regista, Zhang Liang costruisce Behemoth come ideale proseguimento di una installazione del 2014, dedicata agli operai dalla faccia bianca, ovvero ai lavoratori delle fabbriche di calce. Al bianco dell'installazione si contrappone il nero di un lungometraggio, che girato in due anni vuole porre l'accento sulla nascita di un nuovo Behemoth, generato dalla crescita di un'enorme energia negativa frutto delle conseguenze di politiche governative aggressive che portano al consumo di tutte le risorse naturali a disposizione a discapito dell'ambiente e dell'uomo stesso. Sebbene le miniere da lui mostrate si trovino nella Mongolia interna e le politiche a cui fa riferimento siano quelle cinesi, il dramma su cui poggia l'attenzione si rivela essere universale e senza colori politici.
BEHEMOTH (2015) by Zhao Liang [excerpt] from Richard Lormand on Vimeo.
Giocando con uno specchio portato sulle spalle da un ipotetico Virgilio e ricorrendo a dei particolari effetti visivi generati dalla sovrapposizione su quattro livelli differenti della stessa ripresa, espediente utile a separare i vari "capitoli" della pellicola, Behemoth lascia parlare la natura e la fatica, proponendo solo i suoni prodotti dalla distruzione dell'ambiente, dagli scavatori o dai macchinari usati. Nessun dialogo viene mai usato e si lascia all'altenarsi di rosso, grigio e blu, il compito di lasciare comunicare le immagini, spigendosi con la camera laddove nessuno (a causa delle alte temperature) aveva osato prima: dentro al fuoco e al calore di una ferriera.
BEHEMOTH (2015) by Zhao Liang [excerpt] from Richard Lormand on Vimeo.
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