Regia di Lorenzo Vigas vedi scheda film
Con il capo chino sul bancone l'artigiano spazzola e leviga con delicatezza le dentiere appoggiate sul tavolo da lavoro. L'uomo che maneggia gli strumenti, con maniacale metodicità, è Armando (Alfredo Castro) e quelle protesi sono il frutto di un'attività professionale che lo assorbe completamente lasciando poco spazio alla vita privata. Quei denti perfettamente allineati, tra le mani di Armando, lasciano inquieti tanto quanto i modi e gli sguardi dell'uomo che li ha forgiati dalla ceramica.
Armando vive solo e la sorella sembra essere l'unica con cui intessere qualche primitiva forma di comunicazione. Ma i mondi che i due condividono sono distanti. Un trauma, probabilmente, ha segnato la vita di entrambi ma solo lei ha voltato pagina. Forse dietro quella dedizione e quella precisione chirurgica con cui produce le sue opere d'arte che, immancabilmente, finiscono nelle bocche altrui, c'è il tentativo di esorcizzare un burrascoso passato che sembra tornare a fargli visita alla notizia della comparsa, a Caracas, dell'anziano padre.
Nel frattempo Armando addesca giovani sbandati, di cui pullulano le strade della capitale, offrendo loro facili guadagni per prestazioni sessuali quanto meno stravaganti. "Togliti la maglietta... abbassa i pantaloni... ho detto abbassa i pantaloni... basta così... più su". Armando abborrisce ogni contatto. Mette i soldi sul tavolo e consuma il proprio desiderio sprofondato nella poltrona mentre il ragazzo di turno se ne rimane schifato e impalato a debita distanza con i calzoni calati, senza poter vedere quello che succede dietro.
Lorenzo Vigas, documentarista per la tv venezuelana e sperimentatore, figlio del pittore Oswaldo, investito del triplice ruolo di produttore, regista e sceneggiatore, viene finanziato dal Gotha del cinema Messicano. I produttori sono lo sceneggiatore Guillermo Arriaga, anche lui impegnato in fase di stesura, ed il regista Michel Franco. Tra i produttori esecutivi l'attore venezuelano, in grande ascesa, Edgar Ramirez (Wasp network) ed il messicano Gabriel Ripstein, figlio del grande regista Arturo. Con premesse e padrini simili era scontata la presenza in un grande festival, nella fattispecie Venezia. Meno pronosticabile il Leone d'Oro ricevuto per un film che costituiva, pur sempre, l'opera prima del regista venezuelano. Immagino abbia pesato, sulla giuria, la presidenza di Alfonso Cuaron, nel premiare il "sistema Messico" ed il cinema sud americano più in generale (Pablo Trapero miglior regia nella stessa edizione per "Il clan" n.d.r.). Al di là delle preferenze della giuria nel film traspare tutta la cura e la professionalità di chi lo ha immaginato. Il film è innanzitutto un film di scrittura. Arriaga e Vigas hanno reso la calcolata freddezza del loro protagonista raccontando una storia dai tratti equivoci fin dalle prime inquadrature, giocando sugli omissis e trascinando il pubblico all'interno di un machiavellico gioco di comportamenti ondivaghi in cui tutto ciò che succede è magistralmente e pazientemente orchestrato per raggiungere uno scopo. La sceneggiatura è perfetta ed il film è costruito per non lasciar trapelare un indizio di troppo. L'effetto spaesamento è assicurato e solo il finale svela la possibile strategia del protagonista che fin dalle battute iniziali ci appare caotica e indecifrabile. Ma sui titoli di coda il film si riavvolge su se stesso chiedendo allo spettatore lo sforzo di tornare sui propri passi e riesaminare ogni azione passata per darne un nuovo significato, in funzione del risultato pervenuto. Il protagonista cambia volto ed il movente che lo spinge ad agire finisce nella morsa di canini affilati e possenti molari che azzannano e frantumano la materia narrata per plasmarla nella saliva di nuovi e agghiaccianti finalità.
Chi è dunque Armando? Un uomo che per ottenere il proprio obiettivo finge di essere diverso da se stesso fino al punto di deviare dalla propria sessualità ed architettare un piano cervellotico che passa attraverso la strumentalizzazione del giovane Elder (Luis Silva)? Oppure, più semplicemente, è ciò che sembra, ciò che la camera ci mostra, ciò che i muti pensieri palesano, ossia un uomo che approfitta del destino ottenendo, immeritatamente, quanto bramato? Alfredo Castro, con la sua prova acuisce il senso di smarrimento finale delle spettatore rivestendo i panni dell'ennesimo borderline della sua prestigiosa carriera. Qui tuttavia la brutalità di altri personaggi larraniani è ripulita da una cura ossessiva dell'immagine, da mani pulite, abiti ordinari ma lindi, barba ben rasata, capelli pettinati e da una presenza meno sciatta del solito. Ottima la prova del giovane Luis Silva che infila i propri passi dietro quelli del suo cliente, poi protettore, poi amante, infine padrone, ostentando una giovinezza smargiassa che ben presto si tramuta in ammirazione e, più tardi, fragilità, al cospetto di sentimenti respinti.
Dal punto di vista tecnico si fa notare la scelta di Vigas di amplificare l'effetto bokeh nelle immagini quando segue per le strade di Caracas il suo protagonista. Spesso la macchina rimane fissa su un punto attorno al quale tutti i personaggi si muovono entrando ed uscendo dal fuoco così come dallo spazio di ripresa. Una cosa simile avviene anche con l'utilizzo della camera a mano lungo le vie caotiche della città. In questo caso il fuoco è sulla nuca o sul volto del protagonista in movimento mentre tutto intorno è un turbinio di veicoli e persone senza contorni. Ho potuto notare come Vigas inquadri luoghi e persone con chiarezza per poi passare ad una estrema sfocatura delle immagini non appena Armando entra, anche brevemente, nell'inquadratura, accentuando la centralità di Armando ed il suo turpe egocentrismo. Se l'effetto bokeh provoca qualche difficoltà all'occhio dello spettatore, l'effetto che ci appanna la mente ha un ruolo chiave nel descrivere la totale mancanza di empatia di Armando e la sua estraneità dal mondo che lo circonda, dal quale è separato da un forte senso di alienazione che si riduce solo nelle più calde e confortevoli zone di comfort dello studio e del proprio appartamento. In tutto ciò Lorenzo Vigas e il suo direttore della fotografia, il sempre grande Sergio Armstrong, cercano di entrare nella testa di un uomo dalle evidenti difficoltà relazionali per carpire quei pensieri recalcitranti che nulla lasciano trasparire nell'imperscrutabile sguardo finale lungo la strada arroventata dalle sirene della polizia. Soddisfazione o rimpianto? Cosa sia preponderante, nel silenzio di Armando, spetta a noi decidere anche se in fondo un'ideuccia già ce l'avrei.
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