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Frenzy

Regia di Emin Alper vedi scheda film

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La recensione su Frenzy

di alan smithee
8 stelle

La “frenesia” che genera illusioni, visioni, convinzioni erronee. Due fratelli adulti, soli, perduti in ossessioni insistenti che poco per volta si impadroniscono delle rispettive lucidità. Alper sceglie una narrazione scarna, che si sofferma più sulle conseguenze dell’alterazione mentale che sui presupposti che ne hanno determinato la causa.

La “frenesia” che genera illusioni, visioni, convinzioni erronee, è effettivamente il sentimento che pervade poco per volta il comportamento, o meglio l’atteggiamento di due fratelli quarantenni che si ritrovano dopo anni, in seguito a drammatiche vicissitudini patite da entrambi.

Al più anziano, Kadir, carcerato da anni, viene offerta la libertà condizionata a patto che l’uomo si presti ad entrare in una squadra speciale organizzata dalla polizia di Istanbul per debellare il fenomeno sempre in crescita degli attentati terroristici compiuti a danno di innocenti.

Nelle sue peregrinazioni per i quartieri più degradati e periferici di una capitale livida e perennemente pervasa da un pallore lunare che comunica desolazione e sbando, l’uomo - fingendosi un netturbino per poter legittimamente scovare tra i rifiuti eventuali indizi di costruzione di ordigni esplosivi, e osservando la popolazione spesso diffidente che vive per quelle strade degradate – ritrova il fratello più giovane, Ahmet: un uomo solo, quest’ultimo, disperato per l’abbandono da parte della moglie, ed impiegato come accalappia cani al soldo del comune e per questo impegnato assieme ad altri due colleghi, in una barbara, ingiustificata ed inaccettabile esecuzione sommaria ai danni dei molti randagi che sopravvivono tra colline brulle devastate dai rifiuti.

Man mano che i due iniziano a frequentarsi, se da un lato diventa sempre più invasivo il comportamento del maggiore, al contrario si mostra sempre più evasivo e distante l’atteggiamento del fratello minore, soprattutto dal momento che questi viene in soccorso, per compassione, di un docile randagio nero ferito durante il lavoro: assieme al cane l’uomo tenta di isolarsi in casa, afflitto non più dal desiderio di uccidersi che caratterizzava i suoi momenti di intimità, ma da un raptus insistente in cui egli si vede vittima di rappresaglie militari incombenti e letali.

Dall’altro lato, il fratello maggiore prosegue concentratissimo le sue indagini, animato da molto scrupolo, che lo porta a redigere rapporti minuziosi e dettagliati, gli stessi che rendono tuttavia evidente al suo capo, lo stato di alterazione mentale progressiva che sta invadendo l’uomo, che, col suo fare circospetto, inizia anche a farsi notare dal vicinato, sospettoso e diffidente.

Ha un titolo internazionale così smaccatamente hitcockiano da creare imbarazzo, questo notevole “Abluka-Suspicions” (questo invece il titolo “francese” del film del talentuoso regista turco Emin Alper); di fatto tuttavia pertinente, considerato che il fulcro dell’intricata doppia storia, così poco raccontata, sviscerata solo per sommi capi, è appunto l’ossessione di trovarsi al centro di un complotto ordito dalle più alte sfere del comando, nei confronti di chi vive drammaticamente l’ossessione che gli toglie il sonno e la tranquillità quotidiana.

Un noir della mente, che coinvolge due persone rese maggiormente vulnerabili da uno stato emotivo alterato dalle rispettive drammatiche situazioni personali, a causa di ciò che si è passato (Kadir) o di ciò che si sta passando (Ahmet).

Alper, che ritroviamo dopo l’eccellente “Beyond the hill” del 2011, sceglie una narrazione scarna che si sofferma più che altro sulle conseguenze dell’alterazione mentale, piuttosto che sui presupposti che ne hanno determinato la causa, lasciando allo spettatore - inevitabilmente impreparato e preso in contropiede - la possibilità di perdersi in inquadrature potenti e di grande spessore artistico, dove la desolazione dei luoghi diviene l’occasione per  farsi ammaliare da inquadrature potenti, evocative di uno stato di confusione, di annebbiamento mentale, in sintonia o almeno pertinenti con lo stato d’animo alterato e incerto in cui si perde la mente in tilt dei due fratelli.

Il cinema turco in questi anni si sta rivelando davvero potente, nella sostanza come nello stile, spesso sospeso ed irrisolto, ma di grande potenza visiva ed artistica.

Abluka, purtroppo da me mancato in occasione del Festival di Venezia 2015, ove fu apprezzato al punto da venir (meritatamente) insignito del Gran Premio della Giuria, è rimasto senza distribuzione in Italia, ma si affaccia ora, pur con poche sale a disposizione, nelle sale francesi, forte anche della drammatica attualità del suo contesto di fondo, ancora più in questi ultimi giorni che ai tempi in cui il film fu presentato al concorso festivaliero.

 

 

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