Regia di Ernst Lubitsch vedi scheda film
Tre agenti sovietici, inviati a Parigi per vendere gioielli, iniziano ad apprezzare le comodità del mondo occidentale: merito di Léon, avvocato e amante dell’aristocratica in esilio che rivendica la proprietà dei gioielli. Una funzionaria incorruttibile viene allora incaricata di riprendere in mano la situazione, ma subisce a sua volta il fascino di Parigi e di Léon (che la ricambia). La Garbo non si limita a ridere (come da lancio pubblicitario) ma offre una delle sue interpretazioni più convincenti, facendo evolvere il suo abituale personaggio di vamp senza però stravolgerlo (come invece nel successivo Non tradirmi con me); inoltre, cosa rara, trova una sponda adeguata nel suo partner maschile, un Melvyn Douglas ironico e fascinoso (esilarante la scena in cui la introduce nel suo appartamento e cerca di sedurla, trovandola completamente ignara della procedura e vagamente annoiata). E poi c’è lui, Lubitsch, che si muove come un equilibrista sul filo e nel 1939 riesce incredibilmente a far ridere parlando di politica internazionale (exploit ripetuto in condizioni ancora più difficili nel 1942, con Vogliamo vivere!). Il miglior complimento che si possa fare al film è che persino Wilder (qui cosceneggiatore), quando ha provato a imitarlo in Scandalo internazionale, ci è riuscito solo in parte.
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