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Ninotchka

Regia di Ernst Lubitsch vedi scheda film

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La recensione su Ninotchka

di ilcausticocinefilo
7 stelle

 

 

L’unico film in cui la Garbo ride. «Garbo laughs!» appunto. E la possibilità di usare in modo atipico la diva è sicuramente la colonna portante dell’operazione, non soltanto dal punto di vista del marketing. Forse più ancora dell’obiettivo satirico e propagandistico, che non si può certo ignorare ma comunque quasi mai scade nel manicheismo.

 

Nulla da eccepire, ca va sans dire, sulla regia (notevoli alcuni fugaci dettagli, come ad esempio quello dei banalissimi cappelli dei tre funzionari che si tramutano in raffinati cappelli a cilindro, segno dell’avvenuta “cooptazione” al capitalismo, al consumismo e alla “joie de vivre” parigina) e le interpretazioni (a parte gli ottimi protagonisti, chi scrive ha apprezzato in special modo il succitato trio sovietico, sin dalla memorabile entrata in scena con i tre che uno dopo l’altro entrano ed escono tramite la porta girevole nel lussuoso hotel [“do solo un’occhiata!”]).

 

 

Alexander Granach, Felix Bressart, Greta Garbo, Sig Ruman

Ninotchka (1939): Alexander Granach, Felix Bressart, Greta Garbo, Sig Ruman

 

 

Il film per la gran parte funziona, epperò non pare di trovarsi in presenza di un capolavoro, i fasti della commedia americana à la Susanna sono piuttosto lontani. Alcune scene sono protratte un po’ troppo a lungo, come nel caso della lunga parentesi al ristorante con Leon che cerca in tutti i modi di far almeno sorridere Ninotchka, mettendoci molto a giungere al momento quando finalmente la Garbo scoppia a ridere e tra l’altro per via di una caduta degna delle comiche del muto (un’altra sequenza molto dilatata è quella della cena con l’incontro con la granduchessa).

 

Per converso, la relazione tra i due si sviluppa in modo sin troppo repentino e anche un po’ stereotipato, all’insegna dell’“amore a prima vista” o poco ci manca. Mentre il film soffre di un palese rallentamento del ritmo nella seconda parte e a volte ripara su soluzioni di dubbia coerenza narrativa (del genere della granduchessa e della decisione in merito ai suoi preziosi). Non siamo certo ai livelli di Vogliamo vivere (To Be Or Not To Be) che non conosce cadute di tono dall’inizio alla fine.

 

 

Greta Garbo, Melvyn Douglas

Ninotchka (1939): Greta Garbo, Melvyn Douglas

 

 

In Ninotchka, comunque, a inficiare in parte il risultato non è tanto il chiarissimo intento propagandistico che perlomeno sino alla conclusione (prevedibile fin dal primo incontro tra il conte e la “fredda” Ninotchka) non diviene mai esclusivo o preponderante, quanto la marcata tendenza – che infatti spesso fagocita lo stesso apologo anticomunista – al melò, afflitto da un sentimentalismo forse un po’ troppo “zuccheroso”.

 

In definitiva, il risultato si può dire ciononostante più che buono, a tratti esaltante, specialmente grazie ad una sequela di battute fulminanti e di scambi sferzanti e taglienti [ 1 ], dietro cui si riconosce non poco la mano del grandissimo regista a venire, Billy Wilder, coadiuvato da Charles Brackett e Walter Reisch.

 

 

Greta Garbo, Melvyn Douglas

Ninotchka (1939): Greta Garbo, Melvyn Douglas

 

 

Una breve curiosità storica. Nella cornice infuocata della campagna elettorale per le elezioni politiche del 1948 in Italia, il film venne per la prima volta distribuito in funzione anticomunista insieme a centinaia di altri film e documentari statunitensi specificatamente selezionati allo scopo che, nell’imminenza delle elezioni, erano visti ogni settimana da oltre cinque milioni di spettatori (gli Stati Uniti adottarono peraltro diverse altre tattiche per influenzare le elezioni, dalla campagna di lettere inviate da italo-americani a parenti e conoscenti alle decine di milioni di dollari garantiti ai partiti anticomunisti, fino alla minaccia di trattenere gli aiuti e finanche, probabilmente, di intervenire “più direttamente” in caso di affermazione elettorale del Fronte Democratico Popolare).

L’obiettivo era chiaramente quello di magnificare lo stile di vita americano che, dalla prospettiva di un italiano medio del tempo, abitante di un Paese prostrato dalla guerra e da vent’anni di fascismo, doveva apparire effettivamente quasi irreale nel suo benessere. Pare che – a seguito della disfatta del FDP che crollò al 31% di consensi – un comunista ebbe a dire, ovviamente esagerando: «Ci ha fregati Ninotchka» [ 2 ].

 

 

Alexander Granach, Felix Bressart, Greta Garbo, Sig Ruman

Ninotchka (1939): Alexander Granach, Felix Bressart, Greta Garbo, Sig Ruman

 

 

 

[ 1 ] Tante le stoccate, tra le quali: «E’ un’idea, no?» | «Sì, è un’idea. Ma perché mai dovrebbe venirci un’idea?»; «Metodi capitalistici. Accumulano milioni subendo perdite dopo perdite!»; «Le ultime condanne di massa sono state un successo. Ci sono meno russi ma sono migliori»; «Ci restavo sempre male quando le rondini ci abbandonavano d’inverno per migrare verso i paesi capitalistici.» […] «Sono tornate anche le rondini. Guarda. Forse è la stessa rondine che abbiamo visto a Parigi.» | «Sicuro, Ninotchka. Dev’essere stata a Parigi, si vede da come si comporta. Ha raccolto una briciola del nostro pane nero e l’ha lasciata!»

[ 2 ] Circa l’insieme di questi fatti, cfr. W. Blum, Il libro nero degli Stati Uniti, Roma, Fazi Editore, 2003, p. 42 | T. Shaw, Hollywood’s Cold War, Amherst, University of Massachusetts Press, 2007, pp. 25-6, che citano comunque sostanzialmente le medesime fonti.

 

In conclusione, una curiosa coincidenza: tanto il Morandini quanto il Mereghetti, quanto Di Giammatteo nel Dizionario dei capolavori del cinema (Mondadori, 2004) e il primo recensore-utente di mymovies.it (quest’ultimo peraltro senza neanche esplicitarlo) citano tutti la stessa identica analisi di Guido Fink (Ernest Lubitsch, il Castoro).

Eccola, a mo’ di suggello finale: «La molteplicità di registri di Ninotchka è parzialmente unificata dal ritmo su cui poggia il film, che è un ritmo, al solito, binario. Non tanto basato sulle opposizioni (capitalismo e comunismo, vecchia e nuova Russia, Mosca e Parigi, uomo e donna, amore e dovere) quanto sulla ripresa e sul riecheggiamento: tutto, a ben vedere, ricorre due volte nel film, e la prima volta viene generalmente respinto o criticato, la seconda accettato con gratitudine: così il cappellino, che all’inizio appare mostruoso alla protagonista, o le barzellette di Léon, a cui ricorrerà poi, in un momento di disperazione […]. Tutto dunque viene rovesciato […] o corretto [...].»

 

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