Regia di Michael Winner vedi scheda film
A questo punto è uffficiale: Paul Kersey porta scalogna alla grandissima. Dopo l'omicidio della moglie nel primo episodio della serie, lo stupro del primo film replicato nel secondo sulla figlia (che al secondo ci resta secca), in questo terzo capitolo l'uomo perde l'amico newyorkese che stava per ospitarlo (l'omicidio avviene quando Kersey è ancora con le valigie in mano), l'anziano amico come lui reduce della guerra di Corea (un Martin Balsam ormai spento) e l'avvocatessa che si era immediatamente innamorata di lui quando era stata chiamata a difenderlo d'ufficio.
Seguendo il filo di una sceneggiatura quanto mai sconclusionata, si assiste ad una serie inenarrabile di morti ammazzati, probabilmente il record mondiale in un film poliziesco, senza comprendere cosa faccia il protagonista per mantenersi e come trovi i soldi per comprarsi i distruttivi pistoloni con i quali fa secchi i criminali che infestano il suo quartiere. Ovviamente non mancano gli stupri, riusciti (nei confronti della chicana Maria) o soltanto tentati (addirittura nel bel mezzo della colossale sparatoria finale), ma ormai Winner non riesce a rendere credibili nemmeno questi, così come puzza di set cinematografico lontano un miglio il quartiere degradato nel quale Kersey va a vivere.
Disastro totale, almeno dal punto di vista "artistico", che avrebbe dovuto consigliare - ma so bene che le ragioni che governano il business cinematografico sono altre - di porre una pietra tombale sulla serie, la quale vedrà invece altri due capitoli.
Bronson ha un'espressione, se così si può dire, sempre più tendente al menhir.
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