Regia di Ric Roman Waugh vedi scheda film
Da manager borsistico rampante, a carcerato dominante in un luogo detentivo di massima sicurezza, il passo è breve: giusto il tempo di farsi crescere un bel paio di baffoni ricurvi e minacciosi: l'aspetto ha la sua importanza. Ennesimo "prison movie" girato con perizia, senza particolari scossoni ed un altalena temporale necessaria a comprendere.
Da yuppie rampante re delle contrattazioni borsistiche, nonché marito e padre modello, a carcerato tosto e prevaricatore (per non soccombere) con tanto di baffo tattico per sembrare più tosto ed implacabile, il lasso di tempo è breve: giusto quello necessario per farsi crescere doverosamente il pelo da duro sopra il labiale.
Un incidente di macchina post cena - quando per distrazione il nostro conducente non nota un semaforo rosso e finisce coinvolto in un violento frontale, a seguito del quale rimane ucciso il suo miglior amico e collega - conduce un brillante operatore di borsa, colpevole oltre ogni dubbio e per questo disposto al patteggiamento, ad andare incontro ad una pena di 18 mesi, che tuttavia gli viene calmorosamente fatta scontare in un carcere duro, ovvero di massima sicurezza, assieme ai criminali più incalliti, assassini e altra fauna similare: confrontarsi con la realtà circostante, significa non farsi mettere i piedi addosso e non soccombere, sostenere il gioco del più duro e per questo rendersi complice di atti e misfatti in cui viene invischiato appena poche ore dopo la scarcerazione, anche per scongiurare la minaccia di un pericolo iminente incombente, sotto forma di ricatto subdolo, sui suoi familiari.
La storia, uguale a mille altre inerenti situazioni carcerarie, ha il merito di essere raccontata in modo scomposto attraverso una serie di flash-back piuttosto azzeccati, che rivelano tutto quanto di irrisolto pare inizialmente coinvolgerci, scandito secondo ritmi e tempistiche in grado di tener desta l’attenzione dello spettatore.
Assiduamente pedinato da un ostinato agente che da tempo cerca di incastrare la gang nota come fratellanza ariana, che vive di criminalità organizzata di stampo mafioso, Jacob Harlon dovrà cercare di uscirne nel miglior modo possibile senza mettere in pericolo moglie e figlio che, nel frattempo, hanno perso la speranza di ritrovarlo nella condizione psichico-morale in cui la legge glielo ha sottratto loro, incriminandolo giustamente, con una pena coerente, ma in una struttura carceraria non consona alla persona e al tipo di crimine commesso, sostanzialmente causato da un incidente e da una distrazione fatale.
Scritto e sceneggiato da Ric Roman Waugh, esperto, anzi quasi ossessionato dal “prison movie” (suoi The Specialist, Felon – il colpevole e Snitch – l’infiltrato), La fratellanza non si può certo dire che attanagli alla poltrona, ma offre altresì uno spettacolo decoroso e discretamente condotto, con attori impegnati e convincenti, tutti rigorosamente barbuti, tra i quali spicca il noto, affascinante ed apprezzato attore nordico-danese Nicolaj Coster Waldau, noto ai più per il suo ruolo principale nella saga infinita de Il Trono di Spade, ma piuttosto attivo anche al cinema, tra pellicole d’autore ed altre, come la presente, più commerciali ma pur sempre mediamente dignitose.
Valido pure il suo principale avversario-antagonista poliziotto, reso con professionalità dal duro Omari Hardwick.
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