Regia di Ric Roman Waugh vedi scheda film
Un gran thriller ben ibridato con la scomposizione psicologica del protagonista. La fratellanza è un film di muscoli, sangue e tatuaggi, ma anche di ciò che quest’ultimi nascondono.
È un film duro, che colpisce allo stomaco, La fratellanza di Ric Roman Waugh. Formazione da stuntman, il regista americano non nasconde un gusto estetico per la violenza non edulcorata, ma dimostra anche di saperne dosare la presenza a favore di un equilibrio dell’insieme che dà all’opera una marcia in più.
La trama di partenza è essenziale e ha il sapore del già visto: Jacob, brav’uomo con famiglia e buon reddito, finisce in prigione per un fatale incidente stradale e l’esperienza lo trasforma. Da uomo d’affari a gangster carcerario, si renderà conto che, una volta scontata la pena, la libertà dall’istituzione e la libertà dalla fratellanza ariana non coincidono. Seppure lo spunto di partenza non trasudi originalità, i punti di forza del film nascondono notevolmente quest’ignorabile stonatura.
Prima di tutto, va fatto un plauso al regista per la scelta narrativa di raccontare la storia a partire dalla scarcerazione del protagonista, ovvero a trasformazione già avvenuta: ciò porta lo spettatore a domandarsi come un uomo possa arrivare a uno stravolgimento tale di sé, accendendo un interesse che altrimenti non ci sarebbe stato per una storia del genere. Il dispiegamento della trama si articola su un montaggio alternato di due linee temporali, svelando un poco alla volta il mistero puramente umano della vicenda, intrigando lo spettatore e spostando così il focus dalla vicenda malavitosa al background del protagonista.
A supportare le ambizioni psicologiche dell’opera c’è un cast estremamente convincente, capitanato da un Nikolaj Coster-Waldau (il Jaime Lannister di Game of Thrones) in un’interpretazione di una potenza sconvolgente: l’attore danese riesce a dare forma ad un personaggio difficile, corazzatosi di muscoli e barba per sopravvivere ad una dura realtà. Aggirando il rischio di dare vita ad un piatto archetipo, Coster-Waldau tira fuori un personaggio conscio della negatività del proprio cambiamento, in una perenne lotta interiore tra la nostalgia per ciò che era e l’amarezza per ciò che è stato costretto a diventare. Ad aiutare le interpretazioni entra in gioco una regia al servizio di esse, con tanta camera a mano a chiudere sui volti e sui segni corporei, forte anche di un uso estremamente espressivo della messa a fuoco.
Come già detto ad inizio recensione, la violenza è presente solo quando necessaria. Non a caso la componente action del film è minoritaria. Grazie a ciò, il ritmo non appare serrato come in molte altre opere di genere e la storia ha modo di respirare. Il risultato finale è un gran thriller ben ibridato con la scomposizione psicologica del protagonista. La fratellanza è un film di muscoli, sangue e tatuaggi, ma anche di ciò che quest’ultimi nascondono.
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