Regia di Martin Butler, Bentley Dean vedi scheda film
L'ostinazione ad andare incontro a reciproci sentimenti di attrazione e passione spinge una giovane coppia alla fuga per opporsi ad un matrimonio di convenienza atto a suggellare la pace tra due tribù rivali. Un dramma dagli inediti sfondi tropicali suggestivi che si sviluppa su una trama shakespeariana dove il sentimento vince sulla regola.
CANDIDATO ALL’OSCAR 2017 COME MIGLIOR FILM STRANIERO
In un’isola paradisiaca sperduta ai confini meridionali dell’Oceano Pacifico, due giovani della stessa tribù si amano e si promettono vicendevolmente in sposi, nel contesto (ed in fiero ed orgoglioso contrasto) di un diffuso costume che vede la coppia formarsi per ragioni unicamente di convenienza, dietro precise istruzioni dei “vecchi” ceppi sociali e dei patriarchi di ogni famiglia.
Quando la ragazza viene scelta dal capo tribù (nonno del promesso sposo) come la donna da dare in sposa ad un esponente de popolo rivale come prezzo per garantirsi la pace, i due giovani si danno alla fuga, dividendo e creando tensioni all’interno della società patriarcale che sta alla base del costume di vita in quel paradiso naturale.
Una scelta drammatica da parte della coppia, presa dallo sconforto di fronte all’impossibilità di concretizzare una unione che parte dal cuore e dal sentimento reciproco, indurrà anche i più anziani e conservatori a ripensare alla convenienza del matrimonio d’interesse come via esclusiva per la formazione dei nuovi ceppi familiari.
Da un drammatico episodio occorso circa un ventennio fa ad una coppia di fidanzati, ostacolati da un matrimonio di convenienza ritenuto inequivocabile, Tanna si presenta come un film in grado di introdurci all’interno di una popolazione dagli usi e costumi a noi lontani come pianeti di altre galassie.
La narrazione e lo stile, che predilige inquadrature d’insieme e cornici naturalistiche esclusive e mozzafiato, non si discostano da certi tradizionalismi di racconto all’occidentale, ed è questo che probabilmente che più ha attirato l’Academy nell’includerlo nella cinquina per il miglior film in lingua non inglese. Dal cuore della foresta, alle pendici di un vulcano attivo che evoca la presenza di una entità superiore a cui rendere conto o presso cui trovare un conforto, gli amanti fuggono scoprendo che ovunque, sia da parte dei propri simili, sia da parte dei popoli rivali, la loro unione è considerata come una violazione di un principio fino a quel momento dato per assodato e consolidato dalla tradizione e dall'obbedienza cieca di tutti coloro che ci si sono sottomessi.
Pertanto il trionfo del matrimonio d'amore avrà certo conseguenze tragiche in capo ai coraggiosi e determinati protagonisti, ma anche rivoluzionarie per la rivendicazione di legittimi sentimenti di fronte ad una regola troppo inflessibile che si fonda su una forzatura in grado di trasformarsi in una crudele estorsione. Il tutto raccontato con un accumulo di drammaticità tipico della tragedia, e che assimila i due amanti ad una tipica sventurata coppia shakespeariana in trasferta presso lidi paradisiaci e tropicali.
Un film che spicca soprattutto come una curiosa incursione all’interno di usi e costumi di una civiltà assai poco nota, la cui bellezza fisica spicca e contrasta con la fisionomia decisamente meno aggraziata delle popolazioni aborigene a cui erroneamente assimiliamo tutti gli abitanti che gravitano attorno all’Emisfero Australe.
Le riprese incedono molto sulla fisicità molto in evidenza della popolazione: i tratti morbidi, materni, dei corpi femminili, e quelli snelli e muscolosi, da atleti, dei giovani guerrieri, cinti da un costume ridottissimo che ne evidenzia con orgoglio, ma probabilmente senza malizia alcuna, le sottintese virilità, esibite e celebrate in modo inequivocabile.
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