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Al diavolo la morte

Regia di Claire Denis vedi scheda film

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La recensione su Al diavolo la morte

di alan smithee
8 stelle

La vita e la morte, il combattimento e la clandestinità; l'animale che si lancia a combattere e l'uomo che lo prepara per la lotta; i bianchi regolari che si divertono a scommettere ed i neri precari che vivono sollecitando i capricci dei primi; galli da combattimento rinchiusi in gabbie di cartone e curati, nutriti, pettinati e toelettati con maniacalità ossessiva dal caraibico Jocelyn, che li adora e vive quasi in simbiosi con le sue creature; il suo amico costavoriano Dah lo coadiuva con minore presa emotiva, in modo più distaccato e lucido, curando più l'aspetto economico che quello pratico della preparazione ed allenamento degli animali.

Il campione tra questi galli si chiama orgogliosamente “S'en fout la mort” (letteralmente “Si fotta la morte”), che tuttavia, dopo molte vincite e una certa notorietà nell'ambiente, un giorno soccombe in combattimento, gettando ombre di dolore nel proprietario, già di suo ombroso e tetro.

Ma quest'ultimo trova presto adeguata consolazione e appagamento con una nuova promessa: il gallo bianco di nome Tony, che sembra ancora più dotato di S'en fout, ma che finirà pure lui tragicamente, nella sfida contro un animale di proprietà di un gitano, quando l'organizzatore, proprietario del bar dell'autostrada, deciderà di far applicare alle bestie degli uncini aguzzi incastrati alle unghie, per rendere più eccitante e sanguinoso lo scontro tra i due irriducibili avversari.

S'en fout la mort e una lotta fino alla fine per garantirsi una sopravvivenza; per cercare di fare i soldi utili a sua volta per cambiare ambiente, dopo anni vissuti nei camion dormendo assieme a polli addestrati e curati come bambini, fino ad affezionarsi e piangere nel momento in cui li si è condotti al massacro.

Ma nel secondo lungometraggio di Claire Denis c'è spazio anche per una frugale e solo abbozzata storia d'amore, quella unilaterale ed irrisolta tra Jocelyn e la cameriera bella e bionda del gestore dell'autogrill, colui che organizza le scommesse clandestine, nonché fidanzata ufficiale del figlio di quest'ultimo (è Solveig Dommartin, bella e compianta ex compagna ed attrice di Wim Wenders).

La Denis torna nuovamente all'Africa, tra quegli immigrati che vivono la giornata approfittando di compromessi e clandestinità; e si circonda dei corpi plastici e neri dei suoi meticolosi ed organizzati protagonisti, ritrovando per la seconda volta uno dei suoi attori di riferimento, quel maestoso ed armonico Isaak de Bankolé (attore ricorrente anche di Jarmush) che, con le sue forme statuarie, pare la testimonianza più evidente e definitiva della superiorità della razza nera su tutte le altre, per perfezione, potenza, ed armoniosa distribuzione muscolare.

Con Claire Denis tutti i sogni, i progetti di vita, benché orchestrati ed organizzati con minuzia e meticolosità, naufragano sopraffatti da un destino avverso che inghiotte e stravolge ogni più definito proposito di riscatto.

E tra cemento e autostrade grigie e desolanti, locali chiusi ed ermetici dove in recinti circolari mani esperte massaggiano e sollecitano corpi snelli di pennuti eccitati dall'istinto di sopravvivere e sopraffare, la vita cerca di farsi avanti tra i pericoli e le incognite di un futuro che è esso stesso una scommessa, sopraffatto dal caso avverso e dalle asprezze di una società che non è disposta a regalare nulla a chi non riesce a guadagnarsi la strada del successo e dell'indipendenza.

E, come spesso capita, c'è chi riesce a sopravvivere volando basso e cercando di restare nei ranghi, e chi soccombe in modo violento, sopraffatto dalla smania di vittoria e di un facile guadagno che si rivela un amaro, sanguinoso miraggio illusorio.

 

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