Regia di Gan Bi vedi scheda film
Come se quella palla fosse il mondo, e tutte quelle rifrazioni luminose differenti, scaturite dalla luce che la colpisce, fossero le varie e diverse dimensioni temporali ed oniriche (im)possibili.
Kaili Blues è, finalmente, l'incontro perfetto e definitivo tra il cinema di Tarkovskij e quello di Weerasethakul; è il commemorativo viaggio tarkovskijano, compiuto dallo spettatore (il sognatore!), che collega la Mulholland Drive al Mekong Hotel.
Gan Bi trasporta il pubblico direttamente dentro il tempo, all'interno delle pareti del sogno; nella sua dimensione più ridondante e pulsante, più irrefrenabile e caotica, più imprecisa e viscerale, più spasmodica e sporca, anti-sokuroviana, creando, quindi, uno spazio, nonché una (ir)realtà onirica che mai fu così tangibile e fisica come in questo, incredibile, caso.
Insomma, l'esordio al lungometraggio del regista cinese non vuole tanto rappresentare il sogno, quanto, piuttosto, raffigurare il viaggio nel sogno; per assurdo, non è un'opera sul sogno, ma è un film nel sogno; Kaili Blues non è Cinema, ma è nel Cinema. Un film che, quindi, nasce dal ventre di quest'ultimo, ovvero, un'opera che è uno degli organi vitali di esso, che sta, appunto, all'interno delle pareti della settima arte.
Un lavoro che, in sostanza, ribalta la comune percezione spettatoriale, mandandola in cortocircuito: piuttosto che percepire, nonché intuire di essere all'interno di uno spazio onirico, in cui, appunto, sta accadendo qualcosa di carattere tale che disorienta lo spettatore, stavolta il pubblico, ad un certo punto, ha la sensazione che stia (stranamente, in questo caso!) avvenendo qualcosa di reale, ovvero percepisce ed intuisce, paradossalmente, di essere all'interno di una dimensione reale, la quale, solitamente, non ha nemmeno il bisogno, ovviamente, di essere percepita, né tanto meno intuita; sente che, in fondo, c'è e sta accadendo qualcosa di reale, il quale, inaspettatamente, lo destabilizza: ciò avviene poiché è, in tal caso, già tutto sogno. È già tutto, difatti, in cortocircuito. Capovolto. Stravolto. Sovrapposto. Alienato e stratificato dall'inizio.
Kaili Blues è un film potentemente ipnotico, nonché per chi scrive, uno dei film più stimolanti e disarmanti degli ultimi 5 anni.
Come fosse una sorta di reygadasiano Mulholland Drive cinese: tropicale e minimale.
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