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La scelta di Sophie

Regia di Alan J. Pakula vedi scheda film

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La recensione su La scelta di Sophie

di alan smithee
7 stelle

Un gran regista, una storia che più drammatica non si potrebbe: ma è l'importanza di una interpretazione eccezionale ed unica che rende questo film, di fatto un po' sbilanciato nel suo correre avanti ed indietro nel tempo dei ricordi e della vergogna, oltre che della violenza, un'opera indimenticabile e lodata quasi unanimemente.

Non lo capisci Sophie, stiamo morendo!”, inveisce furente l’amante Nathan (un ottimo Kevin Kline) sulla apparentemente fragile e succube Sophie: la loro una relazione appare travagliata e controversa, con alti e bassi che scandiscono giornate trascorse al chiuso di un appartamento all’interno di una eccentrica villetta tutta rosa, dipinta in tal modo dal proprietario dopo aver acquistato la vernice in grossa quantità da una svendita dell’esercito (nell’ambito del quale, si sa, il rosa non è proprio il colore più pertinente, almeno in via di massima).

A turbare l’ordinaria scompostezza di quell’ambiente familiare viziato e asfissiante, ecco sopraggiungere, verso il 1947, in un rigoglioso ed un po’ eccentrico quartiere di Broadway, un giovane scrittore di belle speranze di nome Stingo, proveniente dalla Virginia in cerca di fama e di ispirazione.

Impossibile per il giovane non venire a contatto con la polacca Sophie, e quindi, suo malgrado, con il suo controverso ed umorale compagno Nathan, che non si stanca di umiliare il giovane e di ingelosirsi ed infuriarsi quando intuisce e sospetta un affiatamento troppo riuscito tra la sua amante ed in giovanotto. Il quale, divenuto confidente della donna, riesce a carpirle pian piano tutte le testimoniante di un passato atroce in terra polacca, tra campi di sterminio, sotterfugi del padre a danno degli ebrei, e scelte terrificanti da affrontare, la più tragica delle quali è quella a cui accenna il titolo del film, a sua volta tratto dall’omonimo romanzo di William Styron.

In regia un grande cineasta come Alan J. Pakula, impegnato qui in una trasposizione che si distanzia, per stile e ambientazione, ai suoi terreni più noti e fertili di intervento, che lo hanno reso il regista dell’impegno civile e della denuncia per eccellenza tra i più grandi nomi del cinema americano anni ’70 e ’80.

La sua regia, diligente e tradizionale, invero si dimostra tutta protesa ad esaltare le prove magistrali degli attori, Streep incensata giustamente ed inevitabilmente di un premio Oscar ed il già lodato Kline, che sa tenerle testa con abili cambiamenti di rotta che caratterizzano la follia presente nel suo tormentato personaggio, distrutto irrimediabilmente dalle inenarrabili atrocità di cui è stato testimone solo fisicamente incolume, ma psichicamente devastato e senza più rimedio.

Certo, pur non avendo mai affrontato il libro che lo ha ispirato, la scrittura del film appare inevitabilmente un po’ troppo frammentata tra ricordi-flash back e le vicende contemporanee post guerra, e per questo sofferente di una certa discontinuità che non rende convincenti certi passaggi, né aiuta a chiarire certe vicende descritte nell’apice della loro drammaticità, e poi abbandonate un po’ a loro stesse; così come avviene ad alcuni personaggi di contorno, ma comunque importanti tasselli della vicenda, lasciati in balìa di altri aspetti e narrazioni.

Provocando così, da parte dello spettatore, un certo imbarazzo e anche un po’ di fastidio quando ci si trova costretti a seguire i battibecchi sclerati dei due amanti o i drammi della gelosia a danno del giovane scrittore, quando invece si resterebbe più volentieri incollati a conoscere nel dettaglio le drammatiche vicissitudini legate al periodo di detenzione nei campi della morte creati dai nazisti.

Ciò non toglie che La scelta di Sophie sia stato e resti un film indimenticabile, non fosse per l’eccezionale drammatica interpretazione di Meryl Streep, bellissima, eterea e luminosa nonostante l'inferno di cui è stata testimone, ed in parte pure responsabile, oltre che vittima; quella della celebre attrice resta una interpretazione credibile anche laddove, incitata da un copione spesso sopra le righe, quasi ogni altra sua illustre collega sarebbe inevitabilmente sconfinata o degenerata verso una recitazione esageratamente sopra le righe, se non macchiettistica o gigiona.

Dopo l'ancor più straordinario La donna del tenente francese di Karel Reisz, prima di Innamorarsi, Silkwood e La mia Africa, Meryl Streep consolidava la sua carriera d'interprete divenendo già in quegli anni la numero uno, nonostante la valida ed agguerrita concorrenza.

Un gran film d’interpretazione, come, per una volta, è riuscita a rilevare, premiando, l’Academy in occasione dell’assegnazione degli Oscar nell’ormai lontano 1983.

 

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