Regia di Amos Gitai vedi scheda film
L'attentato a Rabin ricostruito con efficacia in un mix notevole di documento e fiction, si perde successivamente in una svolta dai toni processuali lunga e prolissa,controversa e divagante che forse è lo strumento di denuncia del regista verso una società che si concentra troppo sulle conseguenze e non sulla prevenzione.Inattaccabile ma divagante.
FESTIVAL DI VENEZIA 2015 - CONCORSO
La passione e l'impegno civile, politico di Amos Gitai sono indiscutibili e lo caratterizzano da sempre nella sua vasta produzione cinematografica, sempre protesa ed indirizzata a trattare ed affrontare le tematiche più calde e contrastate che da sempre caratterizzano il clima, anche questo politico e civile, del suo dilaniato paese natale, Israele.
Questo su Rabin, è certo un film-monumento che il noto cineasta regala alla figura amata di Yitzhak Rabin, due volte Primo Ministro di Israele, il primo ad essere nato e vissuto interamente nello stato di Israele, uno dei più fondamentali promotori, anzi il portavoce assoluto del tentativo di portare la pace nei territori della natività, da sempre teatro di scontri etnico-religioni incandescenti e difficili da sofofcare.
Proprio questo suo impegno verso la pace, lo fece trasformare, agli occhi della destra più radicale e dei gruppo estremisti, in un simbolo del tradimento, ovvero l'opposto di tutto il percorso da egli intrapreso durante la sua lunga carriera politica, che gli valse anche, nel 1994, un Premio Nobel per la pace, a dimostrazione dell'ufficialità acclarata alla sua instancabile opera di mediazione tra due parti davvero complesse da cercare di avvicinare.
In un mix anche complesso di documenti e fiction, e di docufiction mischiata assieme in modo quasi inscindibile, assistiamo dapprima ai tragici momenti della sera dell'omicidio, quando il premier si trovava in piazza dei Re di Israele (poi rinominata opportunamente Piazza Rabin) di fronte ad una folla oceanica di persone, simpatizzanti e pure detrattori, ma tutti presenti per sentire il garante di una pace ormai e ancor più da quel momento foriera di tratti e caratteristiche utopiche ed improbabili.
Un Rabin osteggiato e in calo di consensi, ma mai vinto o abbattuto, come testimoniano persone e politici che lo seguirono da vicino fino all'ultimo. L'omicidio per mano di uno studente ventiseienne ebreo di destra, subito catturato e condannato all'ergastolo, viene percepito dal rumore assordante dei due spari che colpiscono in pieno il premier ferendolo a morte, in una panoramica dall'alto che costituisce una delle ricostruzioni più riuscite e realistiche del film.
Poi Gitai sceglie, e in questo forse consiste l'errore più marcato, sebbene umanamente, un pò meno stilisticamente, comprensibile, che rende pedante e prolissa tutta l'operazione, di seguire il lungo processo intentato non tanto sul colpevole, subito arrestato, ma sui meccanismi di sicurezza che evidentemente non hanno funzionato: e rincarando la dose su supposte speculazioni sul carattere intimo e per alcuni controverso del premier, studiato a tavolino da una commissione non si sa bene a che fine specifico.
Insomma il film, lungo oltre due ore e mezza, si presenta come un mix di stili non proprio omogenei tra di loro, e carente, soprattutto nella sua lunga parte finale, di quel pathos da indagine processuale che forse, ma non ne siamo proprio certi, è essa stessa una atto di accusa dell'autore verso un sistema ed una organizzazione giustizialista che si accanisce sui fatti e le responsabilità quando ormai è troppo tardi per porre dei rimedi al peggio.
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