Regia di Ana Lily Amirpour vedi scheda film
La mela marcia può essere gettata o si può tentare di separare la parte compromessa segregandola. Buoni e cattivi in un film apocalittico tra Mad Max e i neon fosforescenti dei film di Korine.
VENEZIA 73 - CONCORSO
La parte marcia della mela: quella che va isolata, emarginata oltre quel muro che separa la civiltà dal deserto, e geograficamente gli Usa dal Messico.
Ivi vengono confinati tutti coloro che non riescono o possono uniformarsi alle regole di vita comunemente condivise.
Abbandonati oltre il muro, lasciati liberi di decidere se finire in un luogo di speranza e recupero, o in un inferno di rottami popolato di cannibali.
Ci troviamo nel bel mezzo di un avvenire post-apocalittico, quello in cui non ci vorremmo mai trovare insomma, ovvero un "futuro distopico", come è ormai prassi definire situazioni già viste sullo schermo tanto da aver generato da tempo un filone cinematografico a sè stante, con presagi da incubo che allarmano, ma attraggono nello stesso tempo, quasi a rifuggirne scaramanticamente l'avverarsi.
Una biondina appena fatta entrare tra la "parte guasta" viene catturata dalla comunità famelica, brutalmente martoriata ed amputata per essere data in pasto ad alcuni famelici culturisti (la carne si sa, fa muscolo ed è necessaria per uno spessore da primato).
Fuggita per miracolo, con una gamba e braccio in meno, la ragazza trova rifugio presso l'altra comunità, ove tuttavia le cose paiono andar meglio solo in apparenza.
A volte infatti, ci insegna la regista scaltra ma anche tosta, il male peggiore non è sempre e necessariamente quello che appare più devastante e crudele.
Progetto insieme furbo e ambizioso, The bad batch ci restituisce in regia la talentuosa iraniana naturalizzata Usa, Ana Lily Amirpour che mi convinse, diverti' e forse anche esalto' col suo precedente horror "A girl walks alone...." sulla vampira in burqa.
Lo stile e il glamour rimangono pure qui, le tematiche scottanti ed aperte a molteplici ben più serie riflessioni sulla realtà che ci circonda pure, ma la Amirpour eccede in manierismo e in atmosfere da videoclip, complice una musica galeotta sin troppo piacevole e coinvolgente per non apparire ruffiana.
Grandi attori e caratteristi coinvolti, alcuni addirittura irriconoscibili (Jim Carrey su tutti, barbone che pare uscito da The road trasposizione da McCarthy) e Keanu Reeves fisicamente in forma, un pò gonfio di faccia.
E dunque furbizia, glamour, metafore sulla divisione, sulla differenza molto sottile tra cattiveria e bontà e quant'altro può venirci in mente alla vigilia di una elezione presidenziale americana in cui la minaccia di far riedificata muri o innalzare di ancor più alti si avverte come palpabile.
Tra l'ultimo Mad Max (tra deserto ed amputazioni) e i neon fosforescenti ed allucinanti dei film di Korine, ma senza essere in grado di eguagliare nessuno dei due.
E comunque i culturisti cannibali (capitanati dal solito gigantesco Jason Momoa), che si nutrono di arti e quarti di corpi umani per assicurarsi il mantenimento della massa, sono la vera genialità irriverente e barocca di un film di certo troppo furbo e calcolato.
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