Regia di Tràn Anh Hùng vedi scheda film
La coralita' che supera l'individualismo e sconfigge gli effimeri e caduchi limiti temporali che singolarmente ci vedono inesorabilmente soccombere. Grande prova di regia per una intensa, quasi ossessiva celebrazione di un corso familiare concettualmente senza fine.
La effimera incerta percorrenza di una singola vita rispetto alla ciclicità ininterrotta del mondo e degli esseri viventi, intesi come specie, che lo popolano, riesce ad assurgere ad un valore che comunica definitivita' e presenza perenne quando considerata nell'ambito di una stirpe che si moltiplica e si diffonde nel tempo.
Una famiglia benestante francese viene osservata nella sua intimità quotidiana che prosegue nei decenni, soffermandosi, a partire da metà dell'800 sino ai giorni nostri, attraverso la notevole opera procreazione di tre donne della stessa famiglia, secondo canoni di natalità peraltro comuni in epoche passate (spesso i nostri nonni avevano anche oltre 5/7 tra fratelli e sorelle).
8, 9 figli, per ceppo familiare, almeno metà dei quali portati via e debellati da malattie e conflitti bellici ciclicamente inesorabilmente inevitabili.
Ma è la famiglia che, unita dalla perseveranza di chi sopravvive e porta avanti un nome e una identità, garantisce un senso di "eternità" e di immortalità.
Non si poteva disporre di un regista migliore del vietnamita eccezionale, celebrativo, elegante e elegiaco come Tran Ahn Hung, da tempo legato al mondo e all'industria cinematografica d'Oltralpe, per immolarsi in modo quasi liturgico e religioso ai prodigi sfidanti e oltre i confini naturali della vita terrena, della stirpe familiare.
Il grande regista di Cyclo abbandona il percorso storico ed estranea la sua famiglia da eventi o situazioni che esulano da un intimo e continuativo cammino familiare.
Nascite, e conseguenti ventri perennemente gonfi, malattie e infezioni che ne riducono anche drasticamente i ranghi, senza tuttavia debellare un ceppo, si succedono instancabilmente come lungo un interminabile album fotografico di famiglia, per sua stessa definizione contemplativo.
Tre donne, tre generazioni, tre modi per conquistarsi l'eternita' e sfidare la memoria del tempo che passa.
Estetizzante, studiatissimo, manierati, ovattato, con carrelli eleganti che sovrastano e scavalcano siepi di giardini paradisiaci, teatro di giochi spensierati di una infanzia privilegiata nei mezzi, ma non per questo impermeabile a fatti o accadimenti poco propizi o benevoli.
Un album di famiglia elegante e fuori dal tempo, come se il potere della famiglia fosse in grado di scavalcare la storia e gli eventi che hanno segnato la storia e l'evoluzione del mondo.
Il rischio di stucchevolezza è fugato grazie alla forza celebrativa e alla classe di una regia che ci rapisce all'interno di un album di famiglia che assurge ad una sacralità che è il solo stratagemma per sfidare il trascorrere del tempo e della storia, senza l'esigenza di diventarne i protagonisti assoluti.
La coralità che supera l'individualismo e sconfigge gli effimeri e caduchi limiti temporali che singolarmente ci vedono inesorabilmente soccombere.
Grande prova di regia per una intensa, quasi ossessiva celebrazione di un corso familiare.
Gran cast di attori ridotti a mere figurine di valore: Mélanie Laurent, Audrey Tautou, Berenice Bejo, dee meravigliose della procreazione, Jeremie Renier e Pierre Deladonchaps (Lo sconosciuto del lago) paladini orgogliosi della continuità nel tempo.
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