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Regia di Kiyoshi Kurosawa vedi scheda film

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La recensione su Daguerrotype

di alan smithee
8 stelle

34 TFF - ONDE

Che bella sorpresa rivedere un regista a cui tengo come è Kiyoshi Kurosawa, coinvolto in una produzione europea che lo vede, direi per la prima volta, concentrato in una storia del tutto estranea al suo ambiente natale e alle tradizioni della cultura nipponica.

Siamo ai giorni nostri, in Francia, ed un giovane in cerca di affermazione nel mondo della fotografia, viene convocato per un colloquio di lavoro da un celebre artista visivo, divenuto celebre come fotografo di moda, ma da anni ritiratosi in seguito al decesso improvviso, e dai connotati non molto chiari, della amata consorte.

Il ragazzo viene assunto con facilità e il suo stupore sarà evidente non appena si accorgerà che il maestro, nella sua vecchia e cupa dimora storica ove vive ritirato nel modo più ostinato e rigoroso dalla mondanità e dalle scene pubbliche, si ostina a studiare vecchi processi di produzione di foto che risalgono proprio all’epoca della nascita e della scoperta della fotografia.

Un ritorno alla tecnica arcaica e affascinante della “dagherrotipia”, procedura lunga, difficile, estenuante sia per l’autore della foto, sia ed ancor di più per coloro che devono adattarsi a modelli: la foto infatti richiede la perfetta immobilità del soggetto da riprodurre, e a tal fine il celebre fotografo utilizza vecchie (e sinistre) apparecchiature meccaniche che hanno lo scopo di immobilizzare il modello di base.

La nuova modella, in seguito alla morte improvvisa della moglie, è la giovane e diafana figlia dell’artista, con cui il ragazzo familiarizza, innamorandosene, ricambiato presto dalla fanciulla.

E mentre dal mondo dei jet set, alcuni loschi figuri cercano di indurre il ragazzo a far uscire dall’isolamento il fotografo, le cui ingenti ricchezze cominciano a sfumare a causa della sua inattività o del suo dedicarsi ad una vera e propria ossessione non remunerata, e soprattutto a indurre l’uomo a vendere la splendida e un po’ tetra proprietà di famiglia per dare la possibilità ad un ambizioso progetto edile di trovare il suo compimento, il nuovo assunto, di nome Jean, comincerà a farsi un’idea più chiara dei misteri che avvolgono quella casa, e degli effetti fantastici e dalle proprietà riviviscenti che la dagherrotipia riesce ad avere sui soggetti non più in vita.

Un thriller dalle tinte horror che ricorda certi validi prodotti artigianali più italiani che francesi, e l’accostamento azzardato fatto proprio al 34 TFF, ove il film ha fatto quella che probabilmente la sua prima apparizione europea, con il cinema del grande Mario Bava appare azzeccato e quanto mai opportuno.

Infatti la vicenda, al di là della sua improbabilità, colpisce per le sue atmosfere cupe, per l’accuratezza di una scenografia che si crogiola (e fa solo che bene!) su ambienti nobiliari veri o riprodotti con assoluta credibilità.

Splendidi gli attori coinvolti, con un Tahar Rahim protagonista mai così motivato e convincente; da parte sua il leonino Olivier Gourmet conferma di essere uno dei più validi interpreti europei in circolazione, mentre la bellezza “antica” e raffinata di Constance Rousseau è una caratteristica che la rende perfetta a rappresentare un personaggio di oggi, quasi completamente sopraffatto e succube degli effetti di un passato che per taluni è l’unica folle soluzione ove trovare rimedio ad un dilemma altrimenti senza soluzione.

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