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Ma Loute

Regia di Bruno Dumont vedi scheda film

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La recensione su Ma Loute

di mm40
4 stelle

Alta Francia, inizio Novecento. Un uomo, L’eternel, e suo figlio Ma Loute sono dei poveracci che per campare aiutano i ricchi turisti ad attraversare un fiumiciattolo. Nei dintorni vivono i Van Peteghem, facoltosi industriali dediti all’incesto. Un giorno nella zona cominciano a sparire delle persone nel nulla e l’inetto ispettore Machin dovrà occuparsi del caso.

Dopo aver diretto la serie televisiva P’tit Quinquin (2014), Bruno Dumont torna al cinema con questo Ma Loute, che ne sembra una sorta di spin off ambientato all’inizio del Novecento, virato però in chiave comica-slapstick. Ma bene o male quasi tutto il cinema del regista francese si muove su questi stessi passi: l’ambientazione è la consueta, quella zona costiera dell’Alta Francia fatta di natura selvaggia, spiagge desolate e cieli perennemente grigi; l’andamento della trama è quello che si riconosce alle pellicole di Dumont: lento, trasandato, privo di un vero e proprio nucleo centrale; i personaggi, infine, sono i soliti suoi: ritardati, storpi, miserabili alle prese con una quotidianità fatta di crimine, deviazione, disperazione. In Ma Loute, che come P’tit Quinquin prende il titolo dal nome di un giovane protagonista, l’unica novità rispetto alla retorica mediamente adottata dal cineasta (anche sceneggiatore, qui) è quella del gender fluid di Billie; per il resto c’è poco di sorprendente o di mai avvicinato da Dumont, a partire dall’ostentazione dell’incesto da parte della famiglia Van Peteghem e senza dimenticare il cannibalismo di cui vanno fieri i Brufort. Dulcis in fundo, non manca il poliziotto pasticcione che da L’umanità (1999) pare elemento portante dei film del regista; qui è interpretato da Didier Despres, sorta di Ollio smodatamente obeso de noantri, affiancato nelle sue infantili gag da Cyril Rigaux nei panni di un Charlot riveduto e corretto, effeminato e privo di personalità. Chi può dire, poi, se le incursioni di Dumont nella comicità non funzionino mai per via di un suo malinteso – e peculiarissimo – senso dello humour o semplicemente perché i francesi non hanno per tradizione alcun umorismo (si pensi ad Asterix, falso storico traboccante presunzione)? Senza generalizzare si può sostenere che Ma Loute sia soltanto un lavoro un po’ strabico, che tenta di fare sorridere con una comicità retrò e disposta in scena in maniera tutt’altro che raffinata, e al contempo di criticare le apparenze che regolano una società (non solo quella francese) in cui i ricchi comandano e i poveri soffrono, ma tutti sostanzialmente difettano in umanità. Juliette Binoche – ahilei – e Valeria Bruni Tedeschi, oltre a Fabrice Luchini, compaiono in altri ruoli centrali. 4/10.

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