Regia di Bruno Dumont vedi scheda film
“Malfoy, Malfoy, Malfoy, Malfoy, Malfoy!”
Mentre rotola come un barile giù da una duna l’obeso ispettore Machin (Didier Desprès) chiama preoccupato il suo assistente dal “roscio” pelo, l’indizio da esaminare si trova sulla spiaggia e l’uomo di legge non trova strada più sicura, considerando la sua mole da pachiderma, che una discesa “rotante” avventurosa ma in fin dei conti efficace.
Estate 1910, costa della Francia del nord.
L’imponente Machin dall’alto del suo acume investigativo (???) è chiamato a far luce su una serie di sparizioni, perlopiù turisti che dopo essere transitati per il desolante scenario della Baia de La Slack sono svaniti nel nulla lasciando come unico segno del loro passaggio piccole tracce (occhiali, ombrelli), il prode investigatore osserva attentamente queste prove, le scruta con la massima attenzione spremendo al massimo le sue “celluline grigie” ma niente, proprio non sa dove sbattere la testa...o la panza, che si gonfia sempre di più.
Eppure un giovane pescatore del luogo di nome Ma Loute (Brandon Lavieville) sposta cadaveri proprio sotto il suo naso, uccide i turisti insieme al padre e poi con l’aiuto degli altri componenti della famiglia (la madre e tre fratellini piccoli) li fa a pezzi e se li mangia, del resto i Brufort tirano avanti come possono, una dieta a base di cozze non è proprio l’ideale.
Nel frattempo entrano in scena gli alto borghesi Van Peteghem, un “allegra” combriccola di eccentrici freak che giunti sul posto per la consueta vacanza estiva si scontrano con le indagini di Machin e con gli stessi Brufort, il cannibale Ma Loute si invaghisce (ricambiato) delle bella Billie (Raph), una ragazza che si traveste da ragazzo o un ragazzo che si traveste da ragazza, lo scopriremo solo nel finale.
Bruno Dumont scrive e dirige un opera che viaggia decisa sui territori del grottesco e del surreale, in uno scenario quasi alieno muove una serie di personaggi talmente sopra le righe da risultare quasi delle caricature, chiaramente è una scelta voluta e la messa in scena si adegua ad una estetica che fa dell’eccesso un segno fondamentale.
Si sorride per alcune gag, un umorismo che strizza l’occhio ai classici del muto e ai miti degli anni’30/40, ma questo è solo uno dei percorsi narrativi che Dumont decide di portare avanti, ci aggiunge una spietata fotografia sui conflitti di classe e un pessimistico sguardo sulle diversità in conflitto, due mondi per certi versi simili nelle loro aberrazioni (incesto e cannibalismo) ma allo stesso tempo inconciliabili, impossibili da legare anche di fronte alla purezza di un amore giovanile.
Con Dumont sono al primo approccio, di conseguenza mi rimane difficile inquadrare il film in un discorso più ampio sul regista e sul cinema che propone, Ma Loute mi è sembrata un opera che pur inserita in un contesto preciso non riesce mai ad elevare la narrazione al di sopra di uno standard fiacco e incolore, nonostante i numerosi spunti si viaggia su ritmi molto dilatati, ci si accontenta di presentare figure mostruose ma appassite, mummificate in una staticità che non giova ad una messa in scena che tra stanche ripetizioni e surreali trovate si perde in un viaggio alquanto noioso.
Troppa carne al fuoco e mal cotta?
Può darsi, in fin dei conti nessuno dei percorsi intrapresi sembra portato avanti con decisa convinzione, in azione abbiamo una famiglia di cannibali ma è completamente assente il gusto per il viscerale, per il gore, la scena con i bambini che mangiano carne cruda sembra un contentino buttato lì per soddisfare una certa fascia di pubblico, lo scavo psicologico sulle nefandezze incestuose dei Van Peteghem si riduce ad una sterile esibizione di isteriche scene madri, buone al massimo per evidenziare il talento degli attori, la storia sentimentale tra Ma Loute e Billie scivola via tra un salvataggio in extremis e lunghi silenzi che vorrebbero dire molto, ma che invece non dicono nulla.
E mentre vedevo il film mi chiedevo cosa ne sarebbe uscito se a girare una storia del genere ci fosse stato quel pazzo scatenato di Alex de La Iglesia, con il suo gusto tutto latino per il grottesco sanguigno, per il ritmo, per il dramma che spara viscere sullo schermo.
Dumont con quest’opera spara colpi a salve cercando una dimensione filmica “alta” ma perdendosi nelle surreali levitazioni dei suoi personaggi, il cui senso in tutta sincerità appare alquanto gratuito, ed in fondo è un gran peccato perché tecnicamente la pellicola è ben girata e può vantare un cast di big made in France (o di adozione) di grande livello, certo per attori di tal calibro dare forma a personaggi cosi sopra le righe deve essere stato un gioco da ragazzi, ma è doveroso menzionare almeno le prove eccellenti del solito grandioso Luchini e di una bravissima Valeria Bruni Tedeschi.
La visione è consigliata solo ed esclusivamente in lingua originale, il doppiaggio italiano è uno scempio e toglie moltissimo alla recitazione degli attori.
Voto: 5.5
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