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Ghostbusters

Regia di Paul Feig vedi scheda film

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La recensione su Ghostbusters

di M Valdemar
3 stelle

 

locandina

Ghostbusters (2016): locandina



Divertimento fantasma.

Invero, l'unica cosa divertente - si fa per dire - arriva sui titoli di coda, con Chris Hemsworth impegnato a capitanare un manipolo di uomini in divisa in spiritosi passi di ballo.
Un po' poco, un po' troppo tardi, un po' dà l'idea del protagonista principale di questo reboot-remake: la mancanza, pressoché totale, di humour.
Spettacolo fantasmatico diretta emanazione di un fascio "creativo" spentosi malamente al primo, grezzo abbozzo di illuminazione: la trasmutazione dall'originario nucleo maschile in quello femminile. Ora, pretestuose polemiche a parte - nate in principio su sospette biasimevoli basi misogine (l'implacabile morsa mediatica abbattutasi un secondo e mezzo dopo l'annuncio del cambio di sesso dei protagonisti) -, anziché liberare magari un bel mostro di irriverenza con forti dosi satiriche-ironiche gli autori si sono al contrario fermati a spicci sketch di quart'ordine, buoni tutt'al più come mesti meme.
Non si tratta della battutistica sull'ometto-oggetto Hemsworth tutto muscoli niente cervello (che anzi ci sta tutta) o del colpo alle parti basse lanciato in coro dalle quattro eroine alla gigantesca creatura cattiva (asessuata ma posseduta dal solito sfigato): no, è l'insieme, quello che c'è. O meglio: che non c'è. L'ispirazione, la storia, la scrittura.
Ok, se già si riprende un cult degli anni ottanta per farne un blockbuster, oggi, è chiaro in partenza il deficit di idee; una volta accettato, però (e d'altronde ormai è moda-necessità dilagante), almeno si vorrebbe del sano, anche rozzo, divertimento.
Ma l'incapacità di suscitare intrattenimento, in (questo) Ghostbusters, è tanto palese quanto il grado di disagio dello spettatore, costretto in brevissimi sorrisi forzati e a mettere in pratica nuove posizioni sulla poltroncina sempre più scomoda.
Non si va oltre - in cotanto ricalco venuto sfocato, sommario, tremulo - il mero aggiornamento (i social, i video su youtube, le paranoie da terrorismo), anche in chiave effetti speciali - con la CGI, massiccia e ipersatura cromaticamente, che fagocita qualsiasi romanticismo analogico -, che pure risollevano un filo le sorti della pellicola nel finale, quando è il classico casino fracassone a dominare (e menomale!); mentre una scena oltre il ridicolo che vede in azione i due nomi più importanti del cast, caratterizzata altresì da un montaggio approssimativo, sigilla il messaggio universale dell'amicizia virile.
Fallimentare l'armamentario comico, caricato a salve, floscio, ansimante, in perenne stato di ansia come in attesa dell'approvazione del pubblico: si finisce così col disinnescare sul colpo per prime proprio le pur volenterose interpreti: due comedian esperte cresciute al SNL (Leslie Jones e Kate McKinnon), un corpo comico altrove debordante (Melissa McCarthy) e un'attrice brillante (Kristen Wiig).
La sciatteria dell'intera operazione, d'altro canto, è facilmente riscontrabile nella maniera a dir poco idiota in cui Paul Feig - che, Bridesmaids a parte, ha girato solo sciocchezze - butta nelle gelatinose putride fogne i cameo - attesissimi - delle tre figure principali dell'originale (più quello, irrilevante, di Ozzy Osbourne al concerto metal), ovvero Sigourney Weaver, Dan Aykroyd e il grande Bill Murray (Feig, evidentemente, non ha mai visto Zombieland).
Accipicchia che tedio. Acchiappanoia.

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