Regia di Zoe Berriatúa vedi scheda film
L’adolescenza, soprattutto quella trasgressiva, drammatica, avventurosa e irrequieta è un tema classico di ogni storia letteraria e cinematografica. A maggior ragione per un paese come la Spagna, che non solo ha nelle sue coordinate culturali i codici del romanzo picaresco, ma anche la tragedia della Guerra Civile e di quarant’anni di dittatura cattolico nazionalista, che da un lato ha spaccato in due un paese creando tensioni intrafamigliari e cainite, e dall’altro ha rubato l’infanzia e l’adolescenza a intere generazioni. L’adolescenza quindi, diventa in terra di Spagna simbolo di un imperdonabile furto sociale, ma anche rappresentazione viva e spiazzante dell’impeto ribelle, fresco e genuino di intere generazioni.
Il tentativo dell’applaudito regista di cortometraggi Zoe Berriatúa, qui al suo primo lungo, è quello di appartare i canoni del racconto di formazione cari al blocco progressista che tende a edulcorare ogni cosa e a ricondurla sempre a un manicheismo politico o morale, e di approfondire l’aspetto nero e intimista delle singole vicende. Prodotta da Álex de la Iglesia e da sua moglie Carolina Bang, Los héroes del mal inquieta e disturba per questa focalizzazione atipica e scomoda della ribellione adolescenziale.
Le varie esperienze tossicomani, alcoliche, sessuali e soprattutto violente, sono la reazione al disagio e all’incomprensione dei giovani protagonisti di fronte a un microcosmo umano come quello scolastico che imita e anticipa i rapporti di forza e le gerarchie del mondo adulto. L’emarginazione in cui cadono i tre “eroi del male”, così ribattezzatisi per trovare il loro ruolo nel mondo, è il risultato di una ricerca ossessiva di se stessi, inquietante e spaventosa se si pensa in termini moralistici, ma audace e spiazzante in termini deterministi.
La forza del film sta proprio nel rilegare gli adulti a figuranti, mentre la macchina da presa cattura la turbolenza rapida e inarrestabile dei tre protagonisti che rappresentano, con molte sfaccettature, alcune tematiche tra le più rappresentative del cinema adolescente, come per esempio il vampirismo emozionale, l’identità sessuale, le esperienze estreme, l’emotività incontrollata, il patetismo dei sentimenti e la loro sconcertante radicalità di segno e di cambio di segno. Se Emilio Palacios, premiato con una menzione d’onore al Festival del Cine Español di Málaga nel 2015 – la stessa edizione che ha premiato l’ottimo A cambio de nada di Daniel Guzmán e ha visto brillare l’intenso Techo y comida di Juan Miguel del Castillo – è sobrio ed emotivamente sottrattivo, Jorge Clemente è tanto esuberante quanto patetico nel suo personale ritratto di un ragazzo fortemente instabile e sociopatico. Questo spasmo linguistico generato dal contrasto attoriale tra i due caratteri aiuta a restituire la viscerale disperazione della pellicola.
Arancia meccanica (1971) incontra Jules e Jim (1962) nell’epoca delle paure, delle insicurezze, dell’odio sociale e sessista. È l’epoca dell’accesso indiscriminato a ogni eccesso, della rapacità dei sentimenti vampireschi e del disperato bisogno di affetto di una generazione che conosce solo la competizione e l’umiliazione. Se in Kubrick la carica politica e perturbante era chiara sia nel testo che nel linguaggio, e in Truffaut la libertà dei costumi e l’inno alla felicità erano la base per una nuova società, in Berriatúa spariscono sia la questione politica che quella sociale. Resta il paesaggio scarno, autunnale, abbandonato e usurato di una giovinezza come biologia sociale e come status esistenziale, senza nessuno sconto e nessuna concessione.
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