Regia di Sergio Martino vedi scheda film
Un film di culto da vedere, rivedere e studiare
Il precipuo compito del cinefilo è quello di vedere e rivedere più volte un film ritenuto "di culto". Lo esamina nei minimi particolari, ne studia tecniche di ripresa, montaggio, longtake e piani-sequenza; sviscera elucubrazioni intellettualistiche e lavorìo mentale che hanno portato a determinate scelte registiche piuttosto che altre.
Lasciando per un attimo da parte il cinema di Ingmar Bergman o di Luis Bunuel, l'immenso Sergio Martino, che abbandonò gli studi di geologia confessando di essere attratto più dalle belle figliuole che da quattro sassi (vedasi l'intervista "Mille peccati nessuna virtù" per la rivista Nocturno), nonostante il "very low budget" messogli a disposizione, realizza quello che può definirsi il film più riuscito della coppia comica bolognese.
Una messa in scena piatta e pedestre, un ritmo lento e zoppicante ed una sciatteria di fondo che avrebbero reso inguardabile il prodotto di qualsiasi altro regista, assurgono nel film di Martino, visionato dal sottoscritto almeno una decina di volte, per illogica e straniante alchimìa, a cornice ideale per il raggiungimento del vero obiettivo socio-culturale della pellicola: farci letteralmente sganasciare dalle risate.
Gigi e Andrea, dismessi i panni dei rispettivi ruoli di figlio e madre, in uno dei loro storici cavalli di battaglia, sono due perdigiorno squattrinati e perennemente a carico delle rispettive famiglie in attesa di partire per le vacanze estive. Dopo aver favoleggiato nella bottega da barbiere (salotto buono d'elezione per il maschio italiota del tempo che fu) di conquiste femminili in località caraibiche o della Costa Azzurra, si ritroveranno in quel di Cesenatico a collezionare disavventure e figuracce di ogni sorta.
Il copione di Massimo Franciosa, una delle migliori firme della commedia all'italiana, divide sostanzialmente la vicenda in due tronconi. La prima parte, ambientata in un'assolata e sonnacchiosa Bologna, si funzionalizza alla costruzione dei due caratteri. Alla comicità più spontanea e sanguigna di un Andrea Roncato, il belloccio del duo, fatta di deliziosi tormentoni tra cui lo storico "ci dò che ci dò che ci dò", riferito ovviamente al rapporto sessuale, fa da contraltare quella più compassata e comportamentale di Gigi Sammarchi. Finto intellettualoide isterico; provinciale petulante e portasfiga, ama sfoggiare un po' di cultura un tanto al chilo, quando non legge giornaletti porno. Maestro di vita per l'amico Andrea, culturalmente assai meno provveduto e raffinato, gli rimprovera lo scarso successo con le donne e gli insegna come il vero intellettuale debba sempre tenere al riguardo un atteggiamento necessariamente distaccato. Tradendo la sua velleitaria inclinazione spirituale, si rivela comunque il più assatanato dei due non appena gli si presenta l'occasione.
La scanzonata satira sul gallismo (o pappagallismo) italico assume inoltre la coloritura di cascami post-sessantottini sull'incomunicabilità tra genitori e figli, che si traduce in istanze, da parte di questi ultimi, di essere mantenuti in eterno e di condurre un'esistenza sostanzialmente all'insegna del "nihil facere".
Lungi dal pretendere un'attenta analisi sul costume sociale, il plot è ben consapevole dell'adesione alla logica squisitamente "trash" della pellicola, puntellata, sin da subito, da siparietti e personaggi di contorno a dir poco esilaranti.
Come non sobbalzare davanti alla mitica Gegia (al secolo Francesca Carmela Antonacci), dall'inconfondibile e marcatissimo accento salentino, nella parte di un'improbabile manicure di nome Miranda nel testè citato salone da barbiere. Qui si darà vita, fra l'altro, ad una delirante danza gitana terminata con il getto di due panni troppo roventi sulle facce dei nostri sciagurati protagonisti. Da definire quasi celestiale è poi l'apparizione di un'allor semisconosciuta Serena Grandi, agghindata come una prostituta da strada, nella parte di una mascherina del cinema a luci rosse dove lavora la madre di Andrea come cassiera (il mitico "Blue Moon" di Roma, e non di Bologna, dove campeggia proprio dietro la cassa per la delizia dei trashofili il poster del bergonzelliano "La doppia bocca di Erica" ovvero "La doppia bocca di Enrica, vogliosa e impudica") ed alla quale Andrea stesso cerca di estorcere in nome dell'amor filiale, quel po' di denaro necessario agli scopi vacanzieri.
La seconda parte del film, più marcatamente "comicarola", è un tripudio del trash più sublime, dove i nostri due protagonisti, alloggiati nello squallore della pensioncina "Celso" (soprannominata "Cesso") di proprietà di una pingue ed accigliata zia di Gigi, incontreranno una congerie di bellezze cellulitiche "da urlo" così come mamma le ha fatte (il chirurgo estetico non si sapeva neanche cosa fosse). Si parte dalla procacissima tabaccaia (una Mirella Banti al culmine della sua carriera) alla quale, come leggenda metropolitana vuole, pare sia sufficiente ordinare una scatola di "Minerva" per ottenere un appuntamento erotico. Dopo aver speso cifre esorbitanti per gigantesche forniture di fiammiferi, i nostri due saranno cacciati letteralmente a pedate dal nerboruto fidanzato dell'epònima bottegaia. Si prosegue poi con la mammina in spiaggia con tanto di figlioletto dispettoso e casinista, la cui conoscenza si conchiuderà con le inevitabili mazzate ricevute dai due da parte del gelosissimo marito Diomede. Ciò senza tralasciare la profumiera romana Ines, interpretata da Simona Marchini, auto-ribattezzatasi "Deborah" perchè fa più "fino", alla ricerca di un possibile amor platonico con Andrea (siamo messi bene!). L'approccio tanto focoso quanto maldestro di quest'ultimo avrà come unico risultato quello di farsi scaraventare con una sonora sberla giù per il toboga del mitico stabilimento balneare "I Quattro Venti". Indimenticabile rimane poi l'incontro con le due "sciantose" a caccia di "polli da spennare" e la cena loro offerta ai "Dodici Apostoli", squallida trattoria per camionisti, nella quale si staglia, su tutto e su tutti, un "Jimmy il Fenomeno" in forma smagliante. Nel rivestire il ruolo di un improbabile quanto confusionario cameriere, suole accompagnare ogni banale antipasto (prosciutto di montagna..., acetelli..., carciofini e olive greche) con battute idiote e con la sua classica e caratteristica risata sconclusionata.
Ritornati mestamente all'ovile, i due saranno assistiti nella ferragostana Bologna da quella buona sorte che era loro mancata nella rovinosa vacanza sul litorale romagnolo. La manicure Miranda, segretamente innamorata di Andrea, inviterà i due a cena a casa sua. In questa sede, il pecoreccio, il politicamente scorretto e la volgarità deliziosamente gratuita troveranno il loro "nadir" nei consigli dati dal sempre più prosaico ed allupato Andrea all'ingenua Miranda, consistenti nell'invito a sostituire l'attività di manicure con quella ben più proficua di equivoca "massaggiatrice". Seguirà un folle "partouze" che vedrà la partecipazione anche di una bruttissima amica sarda ma dai seni oltremodo floridi e per i quali il buon Gigi non esiterà a metter da parte ogni velleità intellettuale.
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