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L'abbiamo fatta grossa

Regia di Carlo Verdone vedi scheda film

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La recensione su L'abbiamo fatta grossa

di lamettrie
7 stelle

Un film simpaticissimo. Divertente, e per niente grossolano. Senza pretese auliche, fa riflettere. Nel solco della vera commedia all’italiana. Era cinquant’anni fa, e oltre, che i film potevano chiudersi con la dicitura che immaginarie sono i fatti rappresentati, ma che invece è veritiera la società storica che produce tali fatti.

Si tratta di una commedia al’italiana che si cala perfettamente nella crisi nera della società italiana, a tutti i livelli, ormai da qualche decennio (e non che prima la situazione fosse particolarmente positiva!). Innanzitutto i due protagonisti sono due simpatici “falliti”: non sanno più come fare per tirare avanti, ma per colpa delle loro stesse scelte. Uno si crede un bravo scrittore, e forse lo è. L’alto si crede un bravo attore, e sicuramente lo è. Simbolicamente, costoro solo in carcere hanno il riconoscimento che meritano: ma non solo perché non ci sia concorrenza, ma per il fatto che lì non ci sono gli elementi disturbanti della concorrenza sleale dovuta al potere, che possano inquinare il merito. Degli emarginati che commuovono anche per le rispettive storie d’amore. Albanese innamoratissimo della moglie che (con buoni motivi!) lo ha lasciato, come dei figli; e alla fine la moglie percepisce questo, abbandonando l’avvocato laido cui si era accompagnata al posto di Albanese. Verdone, già separato da decenni, ha una buffa quanto autentica storia con una barista e improbabile cantante moldava: una canta, l’altro scrive storie noir per cui lei va matta. L’affetto, ricambiato, che Verdone ha per lei, come per la vecchia zia psicopatica, è commovente, appunto. Quando Chaplin tratteggiava questi bozzetti di umili umiliati, ma disposti a volersi bene, non faceva cose tanto diverse da quelle che qui si vedono.

Verdone e Albanese recitano benissimo, come sanno fare. Verdone regista riesce a valorizzare l’Albanese intimista: quello depresso, drammatico, oltre che quello comico. Le gag divertenti sono tante: quelle dei finti preti finti gay al solarium è la più memorabile, ma tra molte. Verdone è sempre strepitoso quando fa il duro, il seduttore bugiardo.

Il film trova il suo vertice nel breve, ma mirabile discorso recitato da un eccellente Popolizio: il politico qui mostra il lato più importante dell’Italia e del mondo d’oggi, quelli del politico affarista criminale, che mentre celebra la retorica del bene comune e della giustizia, è colui che è libero, ricco, potente e impunito, nonostante abbia commesso crimini certamente peggiori di quelli che finiscono in galera: questi ultimi perché vanno in galera, se han commesso reati meno importanti di quelli che non vanno in galera e che pure han commesso reati peggiori? Questa domanda è fondamentale, sempre. Si può discutere sul valore artistico del finale: i due protagonisti avrebbero potuto leccare i piedi al politico, e fargli capire che potevano ricattarlo e guadagnarsi a loro volta l’immunità piena. Ma, alla Totò, han preferito la pernacchia: probabilmente avranno pagato cara la loro coerenza. Stilisticamente può non essere la scelta perfetta, ma è meglio far capire da che parte stare, di fronte alle sconcezze del potere economico e quindi politico, piuttosto che evitare in ogni modo di porsi domande e di porsi quindi risposte, in merito.

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