Regia di Irena Pavlásková vedi scheda film
La sorpresa che si ha nel vedere Fotograf è conseguenza di due aspetti: il primo deriva dalla forza dell’abitudine e, in particolare, dalla constatazione di non trovarsi di fronte all’ennesimo biopic anglo americano, essendo il film di Irena Pavlásková dedicato non solo alla figura del fotografo Jan Saudek, ma pure il risultato di una produzione cecoslovacca, nazione che ha dato i natali al protagonista. Il secondo, invece, riguarda da vicino il lavoro della Pavlásková: la regista, infatti, non si accontenta di raccontare la vita dell’interessato, ma ne riporta con precisione il carattere; da qui la scelta di toni da commedia che sono un po’ la maniera con cui l’interessato ha cercato di sdrammatizzare le vicissitudini della propria vita e, insieme, l’antidoto utilizzato dalla celebrità per non prendersi sul serio di fronte al successo che lo ha investito. Ma non basta, poiché il ripetersi di situazioni tragicomiche e il divario esistente tra le virtù della vita pubblica (in cui Saudek passa da una mostra all’altra, ammirato e riverito dal pubblico che conta) e i vizi di quella privata (facendo del teatro di posa un’autentica e quanto mai promiscua alcova) riescono a svincolare il film dall’obbligo di attenersi ai fatti, facendo in modo che la narrazione si regga sulla capacità del personaggio di essere il riflesso di se stesso, diverso da quello reale, conosciuto attraverso le cronache, e più vicino alla fantasia della sceneggiatura, scritta a quattro mani da Sudek insieme alla regista. È bene ricordare che Saudek, ebreo scampato ai campi di sterminio (dove invece sono morti il padre e i fratelli maggiori) ha conosciuto la fama ai tempi della cosiddetta guerra fredda, potendosi dedicare completamente al proprio talento solo quando, a metà degli anni ottanta, il regime comunista lo ha svincolato dall’obbligo di guadagnarsi un salario settimanale nelle fabbriche del paese.
Incentrata sul connubio tra erotismo e corpo femminile, l’arte di Saudek con il passare del tempo è diventata più irriverente e provocatoria, assumendo le forme di una reazione (che certamente c’è stata) alle tragedie della propria vita, ma anche all’insofferenza verso le pressioni e i vincoli del perbenismo e dell’ideologia imposte dal regime. Invece di incentrare il suo film sul cosiddetto corpo del reato, e quindi sul farsi della produzione artistica, la regista preferisce realizzare una sorta di making of in cui più che la riflessione intorno ai significati dell’opera d’arte a trapelare è ciò che viene prima e che insieme le fa da contorno. Così, invece di farcele vedere ritratte su tela o fissate dagli scatti fotografici, le donne del protagonista si imprimono sullo schermo per la voluttà dei loro corpi e per la libertà senza peccato con cui Saudek e la regista si relazionano con essi. Ciò che ne viene fuori è un trionfo della carne e insieme un manifesto dedicato alla volubilità delle relazioni umane, queste ultime praticate sempre al di fuori di schemi e preconcetti. Grazie anche a un ottimo stuolo di attori, uno più bravo dell’altro, Fotograf cala lo spettatore in un mondo incantato eppure possibile. Viene voglia di farne parte: e non solo attraverso la visione cinematografica!
(pubblicato su taxidivers.it)
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta