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The Ecstasy of Wilko Johnson

Regia di Julien Temple vedi scheda film

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La recensione su The Ecstasy of Wilko Johnson

di supadany
8 stelle

TFF 33 Julien Temple

Non chiedere per chi suonano le campane, suonano per te

 

In questa edizione del Festival, Julien Temple è una componente attiva (gran scelta), e non poteva essere momento migliore per presentare in Italia il suo documentario sulla malattia di Wilko Johnson.

Non un pezzo fine a se stesso, Julien Temple riesce a donargli un’identità precisa ed ampia, il fulcro è relativo al personaggio che ci fornisce una vera e propria lezione di vita, ma poi il contorno riesce a trovare una rarissima dimensione, frutto di chi ama musica e cinema allo stesso livello (o per lo meno credo che questo si percepisca piuttosto candidamente).

 

scena

The Ecstasy of Wilko Johnson (2015): scena

 

Su tutto svetta la figura di Wilko Johnson, il suo volto, ripreso prima e dopo (e dopo ancora), le sue considerazioni su una malattia che rende un essere umano un malato terminale colpiscono come han fatto in tantissime altre occasioni.

Facile percepire il limbo tra la vita e la morte con un countdown di dieci mesi, all’improvviso tutto diventa incredibilmente intenso, passato presente e futuro si condensano nell’attimo stesso, il mondo sembra racchiuso in un granello di sabbia e si fatica a pensare che non si potranno più fare determinate cose (per lui la passione per l’astronomia).

E poi c’è la gloria di un tour d’addio; nel film non si esagera affatto nei numeri musicali, comunque di enorme vitalità (sul palco Wilko è un mostro sempre e comunque), non si vuole stringere il campo ai fans, in ogni caso la tappa in Giappone offre una partecipazione ed un’energia che contaminano tutto il possibile.

In più si parla comunque di cinema e Julien Temple si dimostra capace di ricercare equilibri vicini alla perfezione; si dimostra un gran cinefilo, ed a ragion veduta, le citazioni sono tanto consone quanto grandiose, perfette le ripetute intersezioni con “Il settimo sigillo”, con scene del film che si accavallano con quelle dal vivo, con Wilko che gioca a scacchi con un uomo incapucciato (vedi foto sopra al'ombra del tramonto, bellissima), così quelle del “Nosferatu” di Murnau, molto cupe, in più ce ne sono a bizzeffe meno perseguite, magari anche solo accennate che invogliano anche alla ricerca (insomma, l’appettito vien mangiando).

Ed è vincente anche l’umorismo di fondo che rende l’uomo ancora più grande, tra una scommessa senza vincitori (Wilko scommette su quando morirà, ma in ogni caso non ne uscirebbe vincitore) e le note sulla diversità tra la vita d’artista e la sua prima esperienza come insegnante (“in entrambi in casi ti rendi ridicolo di fronte a dei ragazzini”).

Chiaramente la riuscita dell’opera è aiutata da come finisce, e prosegue, la storia di Wilko, ma l’insegnamento è evidente, il resto lo fanno la sua passione, per l’arte e per la vita, e quella di Julien Temple che diviene componente attiva e che non si limita affatto a quella documentale.

Infine ammetto che tante cose scritte sono un fedele reportage di quanto detto in scena, ma quando le parole dicono già tutto non c’è niente di meglio che riportarle così, in tutta la loro fierezza, simpatia, schiettazza e lealtà.

Un vero e proprio inno che ha veramente qualcosa da insegnare, comunque vada.

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