Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film
Pasolini si mette sempre in discussione, come uomo e come regista, nei suoi film; e non si tratta molto bene, non si piace e non si compiace. Il burattinaio rappresenta anche il regista, ma solo in parte, con gli attori che lo contestano o lo interrogano, chiedono il perché delle sue scelte che sembrano arbitrarie e ciniche. Il pubblico si ribella, ma proprio contro gli attori burattini che non sono responsabili delle scelte… il pubblico sprovveduto ignora il regista, confonde gli attori con i personaggi e considera reale la vicenda cui assiste. Poi c’è l’immondezzaro, fondamentale, che butta con indifferenza i resti, le marionette abbattute, e intanto canta uno struggente canto d’amore. Modugno ha collaborato alla regia con la sua canzone e Pasolini ha saputo coglierlo e assumerlo e si identifica anche in lui. Come?
Vita, teatro, film, tutto intrecciato genialmente: un povero teatro popolare di marionette in cui si recita stravolto l’Otello di Shakespeare; ma lo stravolgimento è totale da più parti: le marionette sono attori vivi e veri che recitano legati ai fili che dovrebbero muoverli ma che in parte loro stessi muovono (come i burattini di mangiafuoco che accolgono Pinocchio); tuttavia devono subire nella sostanza della vicenda la volontà del burattinaio, che si rifà a quella dell’autore del testo; il pubblico becero partecipa a modo suo, e determina una conclusione imprevista e “moralistica”, ma dovuta a confusione (legittima?) fra attore e personaggio: è opportuno che un attore reciti (in modo convincente) un personaggio cattivo? O non merita di condividerne la punizione? Ma poi le marionette scaricate fra le monnezze trovano il cielo, scoprono le nuvole; e il regista teatrale cosa fa? Quello cinematografico (Pasolini) fa finta di niente, di non esserci, e intanto ci rifila un capolavoro di cui non si prende la briga di spiegare il significato, perché non ce n’è bisogno, tanto è bello così. Mi piacerebbe riuscire a suggerire, a me prima ancora che ad altri, cosa lo rende tale; ma più che mai devo ripetermi il socratico Kalepà tà kalà, difficile cosa è (dire cos’è) il bello.
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