Regia di Charlie Ahearn vedi scheda film
Raymond è un ragazzo del Bronx: di giorno tira a campare, di notte dipinge muri e carrozze della metropolitana firmandosi Zoro. I graffiti si fanno solo così, secondo lui: al buio e con l’orecchio teso alle sirene della polizia. Il rifiuto totale per il mainstream rischia di allontanarlo da amicizie e amore, ma l’incontro con una giornalista interessata alla cultura hip hop cambia le cose. La linea narrativa è esile, l’oggetto è ibrido: girato nei primi anni 80, distribuito all’inizio quasi clandestinamente e col tempo guadagnatosi lo status di culto tra gli appassionati dell’universo che racconta, Wild Style ha a tutti gli effetti una struttura fiction (per altro, piuttosto convenzionale: le tappe sono le stesse che portano dalla strada al successo gli infiniti cloni di Step Up), ma una forma che sovrappone documentario, musical e videoclip. La recitazione è amatoriale, la regia non trova davvero il ritmo giusto per amalgamare una tale quantità di elementi, eppure il film scivola via veloce, energico e ipnotico, soprattutto nei lunghi momenti dedicati alle riprese dal vero di serate nei club, esibizioni di breakdance, improvvisazioni di artisti poi diventati maestri dell’old school (e citati, stravolti, ricampionati dalle successive generazioni di musicisti). Mappando il fascino innegabile di una sottocultura stratificata (e il contrasto con ciò in cui si è trasformata è spiazzante) insieme a un paesaggio urbano decadente eppure vitale.
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