Regia di Marc Abraham vedi scheda film
Hank fa parte della santissima trinità della musica americana: lui, Elvis e Bob Dylan. Hank, pur vivendo solo 29 anni, facendo dischi in un arco di tempo molto breve, fu la prima "rock" star della musica americana, pur suonando musica country. La sua vita, tormentata da una malformazione alla spina dorsale che lo costrinse ad abusare di morfina, di cui divenne dipendente, e alcol, altra dipendenza, finì in maniera iconica: morì, in una notte di neve, il primo dell'anno del 1953, nel retro di una Cadillac, che lo portava ad un concerto in Ohio. Da quel giorno, per Hank iniziò la leggenda, che nella società americana, affamata di miti ed eroi, è cresciuta a dismisura, e, ancora oggi, le canzoni di Williams sono cantate e incise e non solo dai musicisti country. Una figura straordinaria, unica. Da grande fan del cantante dell'Alabama, aspettavo con molta curiosità questo tentativo di un regista onesto come Abraham, ("Flash Of Genius"), di portare sul grande schermo la vita di Williams: tentativo, purtroppo, parzialmente mancato. Tom Hiddleston, attore inglese, ha il compito proibitivo di calarsi negli stivali country di un uomo del sud come lo era Hank, ma se la cava egregiamente, visto che il fisico longilineo ce l'ha, la faccia anche e si prende pure la briga di cantare le canzoni. Bel coraggio, visto che non ha assolutamente quella voce, così importante, così significativa, non ha il carico emotivo che bisognerebbe avere quando s'interpreta un brano di Williams. Eppure è la cosa migliore del film e quando il regista gira i pezzi musicali, che siano sui palchi dell'Opry o di un piccolo paese della Louisiana, il film s'eleva e si fa piacere assai. La patinatura eccessiva, invece, abbassa il livello di tutto il resto della pellicola, tutta, o quasi, incentrata sui problemi sentimentali di Hank con la moglie Audrey e le altre donne, tante, della sua vita. Eccolo l'inghippo, la trappola in cui cadono, regolarmente, i registi mediocri che provano a raccontare le storie dei miti musicali (e non): l'eccessivo focus su particolari abbastanza secondari, ma che piacciono al pubblico medio. Per Hank, i problemi di cuore sono stati sicuramente importanti per il suo mix di malinconia, solitudine, autodistruzione, ma qui si esagera, spingendo il film a due ore di durata. Abraham non ha avuto coraggio, ha svolto, benino, il suo compito, ma ha anche tolto personalità a un personaggio profondo e complesso come Hank Williams. E' tutto piatto, telefonato, bellino, pulito, poco emozionante. Non chiedevo certo un trattamento come quello di Todd Haynes con Bob Dylan, ma, caspita, hai un'occasione imperdibile e te ne esci con il solito biopic?! Pazienza, lo promuovo comunque, perché è sempre bello, per me, accostarmi in qualche modo a Hank, ma chi non lo conosce per niente, dopo mezz'ora si stanca e, con ogni probabilità, si mette a odiare pure la (vera) musica country. Per il resto, amate, ascoltate Hank Williams, lo Shakespeare americano.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta