Regia di Yaelle Kayam vedi scheda film
Sono stati molto pochi a parlarne di questo film passato da Venezia lo scorso anno che anche qui sul sito ha al suo attivo solo l'interessante testimonianza della bella recensione pubblicata da @Spaggy ed è un vero peccato perchè pur non trattandosi di un capolavoro, è un'opera che avrebbe meritato maggiore attenzione... ma si sa che le cose vanno sempre cosi quando chi è in cabina di regia è un nome totalmente sconosciuto (almeno da noi) come quello di Yaelle Kayam e si ha di conseguenza poca voglia di perderci dietro del tempo prezioso che si intende dedicare a nomi ben più altisonanti... anche se poi all'atto pratico si scopre che i loro risultati pratici sono molto più modesti di questa piccola, misconosciuta, curiosa (e a suo modo anche un poco disturbante) pellicola virata al femminile che si pone a metà strada fra il thriller e la riflessione sociale.
La protagonista è una giovane moglie ebrea , religiosa devota, che passa in solitudine tutta la sua giornata impegnata nell'accudimento della sua casa mentre il marito è al lavoro e i figli a scuola. Quando la donna ha finito di eseguire le sue incombenze familiari, impiega il suo rimanente tempo libero a passeggiare dentro il cimitero del Monte degli Ulivi di Gerusalemme (che di fatto rappresenta l'inquietante e bizzarra location in cui si sviluppa la pellicola) una modalità ricorrente che diventa quasi un'ossessione: a tal punto che la ragazza comincia a frequentare quel luogo un po' sinistro anche di notte, scoprendo così che nelle tenebre si celano lì intorno le minacciose (per lei) ma anche attrattive presenze di prostitute e magnaccia a turbare la quiete serena di quel luogo di pace e dove il meretricio viene consumato persino sulle pietre delle tombe.
Questa dualità di utilizzo di un luogo così singolare e le differenti, opposte attrazioni che generano su di lei (da una parte la noiosa routine del giorno e dall'altra le lusinghe di diversità della notte ben evidenziate anche dall'abbigliamento che contrappone il nero del vestito al bianco del turbante che le copre il capo a simboleggiare visivamente la conflittualità che vige nel suo cervello), finiranno per far uscire fuori di testa la ragazza fino a portarla a compiere delittuosi atti cruenti. Non voglio ovviamente dire di più su una storia che è tutta da scoprire ma che certamente la regista ha impostato - creando questo paradosso - per farcela leggere e interpretare non solo in chiave femminista (la casalinga sfruttata e poco considerata chiusa in una soffocante prigione che "esplode" e si ribella senza però aver preso coscienza della propria frustrante condizione subalterna, così da portarla a compiere azioni aberranti) ma anche in quella ancor più inquietante di una pia donna di fede che diventa strumento del male. Mi spiego meglio proprio su questo punto: è come se la regista con questa storia un po' al limite (trasformata in metafora) volesse metterci in guardia sul pericolo di ogni integralismo religioso meno puro e innocuo di quanto può apparire in superficie perchè spesso (quasi sempre) finisce per generare mostri (come la storia ci ha insegnato da tempo immemorabile e ciò che ci succede intorno conferma giornalmente).
Il discorso critico insomma è molto evidente (e riguarda tutte e tre le religioni nonoteiste lì rappresentate), come altrettanto forte e irriverentemente scioccante è il messaggio che passa attraverso la modificazione (anche antropologica) di una donna e del luogo - il cimitero - che abita con maggior frequenza.
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