Regia di Elda Tattoli vedi scheda film
Un partigiano e una bambina fanno amicizia alla fine della seconda guerra mondiale. Qualche anno più tardi si reincontrano: lui, che ha perso la vista da un occhio, è un dirigente del partito comunista e lei un'impiegata. Si amano, ma per quanti sforzi lei faccia si trova sempre messa in secondo piano da lui.
La viltà dell'uomo, la dignità della donna; l'ideologia che offusca il pensiero, anzichè liberarlo, e una conseguente (auto)critica della sinistra: il perno dell'opera prima di Elda Tattoli come regista ruota attorno a questi concetti. Certo non nuovi - l'ondata femminista post-sessantottina era ormai in esaurimento, così come il dibattito interno al partito comunista era ormai avanzato - ma trattati comunque con grazia e sufficiente profondità. Ciò non toglie che si tratti di argomenti in ogni modo pesanti e che la sceneggiatura che la regista firma con la collaborazione di Marco Bellocchio preveda molta retorica e non altrettanta concretezza, privilegiando spesso i dialoghi nei confronti dell'azione e soffermandosi sulle psicologie dei personaggi senza però ricavarne dei ritratti particolarmente riusciti o anche semplicemente originali. C'è molto di stereotipato, in sostanza, nell'esordio dietro la macchina da presa della Tattoli, che ripeterà l'exploit registico solamente in un'occasione e cioè per Canto d'amore, una decina di anni più tardi. Nel cast spiccano i nomi di Bedy (accreditata Bedi) Moratti, Mario Piave, Francisco Rabal, Vittorio Sanipoli, Marina Berti, Lilla Brignone, con Franco Interlenghi in una parte minore; buon lavoro per la fotografia, di Dario Di Palma, mentre la Tattoli si occupa anche del montaggio, insieme a Mario Morra. 3,5/10.
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