Regia di José Giovanni vedi scheda film
Evaso e braccato dalla squadra del commissario Blot (Marcel Bozzuffi), Hugo Sennart detto "il Gitano" (Alain Delon) è in fuga da due anni insieme ai complici Jo Amila detto "Jo il pugile" (Renato Salvatori) e Jacques Helman (Maurice Barrier). La banda di latitanti semina il panico in tutta la Francia, rapinando furgoni portavalori, regolando conti in sospeso coi delatori e foraggiando la causa dei nomadi col denaro dei colpi messi a segno. Il caso vuole che la loro attività criminale segua scrupolosamente gli spostamenti di Yan Kuq (Paul Meurisse), mago delle casseforti e ricercato dallo stesso commissario Blot per un furto di gioielli nonché per la morte della moglie.
Tratto dal suo romanzo del 1959 Histoire de fou, Lo zingaro è l'ottavo lungometraggio di José Giovanni e il secondo dei suoi tre film prodotti e interpretati tra il 1973 e il 1976 da Alain Delon (gli altri due sono Due contro la città e Il figlio del gangster). Mattatore indiscusso della pellicola e perfettamente a suo agio nei panni del lupo solitario braccato dalla polizia, Delon deve vedersela con un commissario scaltro e tenace (interpretato splendidamente da Marcel Bozzuffi, attore specializzato in secondi ruoli) e coi capricci del caso (l'hasard, coincidenza e fato) che lo portano a ricalcare beffardamente le orme del genio delle casseforti Yan Kuq (l'immenso Paul Meurisse).
Quest'ultimo è fuggito da Parigi in seguito alla morte della moglie, precipitata dal terrazzo di casa al termine di una furibonda lite: rientrando alle prime ore del mattino da una rapina, Kuq l'ha scoperta al telefono con l'amante e l'ha presa a cinghiate provocandone la caduta involontaria. L'avvocato gli suggerisce di costituirsi e fornire una versione dei fatti che lo scagioni sia dalla tragica fatalità che dal furto di gioielli, ma lo scafato scassinatore non intende fare neanche un giorno di galera e preferisce rifugiarsi in luoghi più appartati. Ma non più sicuri, poiché ogni volta che cambia aria sopraggiunge puntualmente la banda del Gitano a creare scompiglio e portarsi dietro l'immancabile corteo di poliziotti.
Pare evidente che la verosimiglianza non è il punto di forza dello Zingaro: le coincidenze sfortunate e le accidentali intersezioni dei percorsi del Gitano e di Kuq sfidano ogni legge della probabilità, facendo dell'uno l'ignara ombra dell'altro. Il fatto è che a José Giovanni lo scrupolo della plausibilità narrativa non importa minimamente: il romanziere, sceneggiatore e regista di origine corsa è da sempre interessato alla dimensione della parabola, della guerra del singolo contro l'ingiustizia (sia che essa si incarni nelle forze dell'ordine o in quelle del destino). E nella fattispecie l'irriducibile marginalità del protagonista è amplificata dalla triste sorte dei nomadi, disprezzati dai cittadini, costretti a trasferirsi in grandi caseggiati e rinunciare alla libertà di abitare all'aperto.
Nonostante abbia collaborato con Jean-Pierre Melville all'adattamento del suo secondo romanzo Le Deuxième Souffle, la sensibilità di José Giovanni è davvero agli antipodi rispetto a quella del patron di Rue Jenner: se Melville evita accuratamente ogni sentimentalismo e ogni concessione alla retorica, Giovanni si abbandona al patetismo e al vittimismo con sfacciata impudenza. Ed è proprio questo gioco basso a farne il cantore di una malavita disperatamente morale, dei truands puri, di un milieu capace di surclassare in giustizia, riconoscenza e coraggio la meschinità dei tutori della legge. Osservazione personale: dei cinque film di Giovanni che ho visto (gli altri quattro sono Ultimo domicilio conosciuto, Il clan dei marsigliesi, Due contro la città e Il figlio del gangster), Lo zingaro è senza dubbio il più spettacolare e struggente (anche grazie alle strepitose sequenze d'azione e alla prova di Annie Girardot nel ruolo della combattiva Ninie). Una pellicola impetuosa e irriconciliata: di un'innocenza selvaggia.
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