Regia di Tim Burton vedi scheda film
Tratto dal primo di una serie di tre romanzi scritti da Ransom Riggs, dati i temi e l'iconografia dell'opera ho sperato che questa potesse rivelarsi come l'occasione giusta, per Tim Burton, di recuperare quelle qualità artistiche che ne hanno fatto, da bambino, uno dei miei registi preferiti.
Così però non è stato.
Dispiace purtroppo prendere atto di come ormai Burton fatichi tantissimo nell'infondere quel particolare "estro", tipico dei suoi più celeberrimi lavori, nelle sue nuove opere, perdendosi invece nella ricerca di una formula più attuale e/o moderna ma che sia comunque affine al suo stile (spesso) così particolare e (a volte) sopra le righe.
Ne nasce quindi un racconto piatto e con poco mordente, frazzionato e incerto, al contempo banale e singolarmente burtiano, quasi un puzzle disfunzionale che non si prende il tempo necessario per permettere ai vari pezzi di incastrarsi a dovere e di riuscire quindi a far apprezzare storia e personaggi, perdendosi invece in salti temporali e soluzioni di comodo o rivelandosi come semplice ornamento di uno mondo alternativo, curato e affascinante quanto si vuole ma soltanto in superficie.
Come anche nelle suo opere meno riuscite, qualcosa di riconducibile alla sua poetica è comunque presente, vedi l'estetica plasticosa e uniformata della provincia america, ma sono però sprazzi isolati in un film di due ore nel quale vengono a mancare certe atmosfere e soprattutto il fascino e l'eleganza di un tempo.
Miss Peregrine – La Casa dei Ragazzi Speciali si rivela infatti come un manifesto a favore di una sensibilità diversa, afferma con prepotenza l'esistenza di un mondo pieno di meraviglie e di magia se solo fossimo in grado di vederlo, come dimostrato in modo fin troppo marcato da una fotografia che predilige toni cupi e freddi per il mondo reale e caldi e luminosi per quello dei ragazzi speciali di Miss Peregrine, una dimensione confortevole dove il protagonista potrà finalmente liberarsi delle sue insicurezze e credere nelle proprie capacità.
Burton compare anche nei suoi protagonisti principali: Jake (Asa Butterfield, in una prova priva di colore ed emozione, veramente sotto tono), alter-ego quasi biografico dello stesso regista, ed Emma (Ella Purnell), con i suoi occhioni azzurri che sembrano usciti da un ritratto di Margaret Keane, o come gli stessi Vacui, creature quasi lovecraftiane che mirano all'immortalità nutrendosi appunto di occhi, specie di bambini.
La stessa Eva Green non appare proprio al suo meglio e un gigioneggiante Samuel L. Jackson non riesce a creare la giusta attenzione in quanto penalizzato da una sceneggiatura che depotenzia lui e i suoi Vacui a un mero pretesto narrativo.
Anche gli stessi bambini speciali purtroppo non riescono a trasmettere molto delle loro potenzialità.
Ma è comunque pregevole un certo ritorno di Burton ad aspetti più genuini rispetto a certe recenti prove più complessate, maggiormente riscontrabili nel consueto citazionismo anni '50 e '60, da accenni orroriferi (vedi il pasto dei Vacui a base di occhi di bambini) o a un ritorno alla stop-motion (lo scontro tra le bambole) e alla battaglia finale emulazione delle opere di Ray Harryhausen (peccato però per l'uso improprio della CGI).
Malgrado le più che incoraggianti premesse Tim Burton non riesce comunque a infondere il proprio genio in una storia così sfacciatamente burtoniana al punto da chiederci non solo se "quel" Burton tornerà mai più ma se è ancora il caso di aspettarne un ritorno che si fa purtroppo sempre più improbabile.
VOTO: 5,5
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