Regia di Raphaël Jacoulot vedi scheda film
In un’assolata cittadina la vita scorre in modo tranquillo: gli abitanti sono alle prese con piccoli e grandi problemi quotidiani, come l’acquisto di una nuova pompa per irrigare i campi, dovuto alla siccità prolungata dalla mancanza della pioggia.
Nulla sembra turbare i rapporti di buon vicinato e reciproco aiuto collettivo, eccetto la presenza di Josef Bousou: ragazzo bislacco e piuttosto inquietante, egli vorrebbe mostrarsi gentile; ma la brusca invadenza che lo caratterizza mette in agitazione i concittadini, che tendono a evitarlo. Anche tra i coetanei fatica a inserirsi, per quella sua aria così strana e cupa (indossa sempre un giubbotto di pelle nera, nonostante l’afa). Tende inoltre ad appropriarsi della roba altrui, o al peggio a sabotarla, quasi sicuramente per reclamare un’attenzione che nessuno gli presta: soltanto la madre sopporta con pazienza questo figlio spesso indisponente nei modi e dal macabro sorriso. Fino a quando egli non passa il limite, tentando un’aggressione sessuale nei confronti di un’anziana.
Ispirato a fatti veri edulcorati per pudore (come enunciato nella didascalia iniziale), al suo terzo film il regista attinge dalla torbida cronaca di paese, senza però incidere più di tanto nel ritratto provinciale e dello “scemo del villaggio”, a causa di uno straniamento narrativo e di un’impersonalità che non sempre traspaiono, impedendo così il necessario e profondo lavoro di scavo psicologico sui personaggi.
Se è vero che la comunità – pur con gli inevitabili conflitti interni (pubblici e privati) – mostra l’utilitarismo di attribuire al “matto” ogni sventura, tuttavia lo spettatore non riesce a provare un vero senso di pietas per quest’individuo sicuramente disturbato (la madre accenna a un cervello poco ossigenato del ragazzo, fin dalla nascita), verso cui prevale invece un atteggiamento di maltollerante repulsione emotiva.
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