Regia di Emily Ting vedi scheda film
Un incontro forse giusto in un momento certo sbagliato
Hong Kong, città/cinema per eccellenza, Johnnie To, il suo autore più carismatico raccontato da Ferris Lin in Boundless, e poi Wong Kar Wai, Pang Ho-cheung, Dante Lam, Fruit Chan, Derek Kwok, il Ghota del cinema hongkonghiano, le loro grandi storie, i polizieschi di ambientazione metropolitana che scorrono tra facciate di condomìni gremiti di finestre immobili, grattacieli dell’alta finanza luci accese h 24, fiumane di pedoni e insegne fluorescenti, locali per tirar tardi, la relazione tra interno ed esterno, tra individuo e società, annullata da un pesante effetto di straniamento.
Tutto questo scompare quando una donna, Emily Ting, ha il coraggio di inventare una piccola storia gentile e gettarla lì, tra la folla che va, viene, un turbine senza nome e senza volto.
Ruby Lin e Josh Rosenberg un volto ce l’hanno, sono due trentenni, belli, giovani ma non ragazzini, che stanno lì, a destra e sinistra dello schermo, e ognuno ha buone ragioni per stare lì.
Ci sono anche buone ragioni per colmare lo spazio che li separa, e sarà il loro primo incontro che evitiamo di definire casuale.
Il caso non esiste, c’è molto altro che, se volessimo, varrebbe la pena di esplorare.
Ma due ore sono poche, ci si racconta l’indispensabile, l’intuito fa il resto, si beve qualcosa, si va un po’ in giro senza lasciarsi subito dopo l’indicazione stradale che Josh dà a Ruby, ma poi non siamo in una favola dove vissero tutti felici e contenti.
Un saluto e lei torna in California, dove i nonni arrivarono ai tempi duri della grande emigrazione, lui resta lì a decidere di lasciare l’impiego e scrivere libri dopo dieci anni di lavoro frustrante fra segretarie, computer e tabelle di conti.
Piccolo particolare, gliel’ha suggerito Ruby di fare quello che gli piace, riuscire a dirsi cose così fra i piccoli discorsi di una conoscenza occasionale lascia dentro un certo segno.
Se poi, dopo un anno, ci si rivede sul battello che attraversa il grande fiume, quello è un caso? Evitiamo di rispondere.
Altri pezzi delle due vite sono raccontati, legami importanti a monte, non sono Adamo ed Eva nel paradiso terrestre, ma certo qualcosa li costringe a girare ancora un po’ insieme per quelle strade gremite di folla, abbagliati da mille luci, nel caos visivo e sonoro, allegro e vorticoso, e ridere, giocare con le parole, guardarsi.
Ma Chow e Li-Zhen di In the mood for love insegnano, ci sono aerei che non decollano, e potevano superare il cielo.
La città e il suo mood serale, autentico terzo protagonista del film, prendeono il sopravvento, un lungo sguardo mentre il tassista aspetta impaziente e arrivano i titoli di coda.
Avvertiamo il gusto del percorso minimalista e poetico di Tsai Ming-liang in The night, dove “L’esistenza di uomini e cose fluisce nel silenzio e nell’incomunicabilità, l’insensato chiacchiericcio quotidiano a cui si affida la certezza di essere vivi alla luce del giorno, sparisce”.
Ma la cifra di It's Already Tomorrow in Hong Kong è altra.
Lì qualche auto che sfreccia, passanti frettolosi, odore di anatra arrosto si sparge per strada, solitudine.
Qui c’è un incontro forse giusto in un momento certo sbagliato.
Ha importanza? E’ quello che doveva essere, resterà un piccolo angolo di rassicurante certezza nella vita, è molto.
www.paoladigiuseppe.it
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