Regia di John Glen vedi scheda film
Bond in Siberia recupera un microchip dal cadavere di 003. Si risale così a Max Zorin, industriale francese che, con la complicità della sua misteriosa accompagnatrice, vuole distruggere la Silicon Valley…
14^ pellicola dedicata all’agente con licenza di uccidere uscito dalla penna di Ian Fleming, il cui titolo è stato arbitrariamente storpiato in “Bersaglio mobile”, partendo da quello originale “A view to a kill”. La prima sorpresa arriva ancor prima dei titoli di testa: il sarcasmo, che era proprio dei dialoghi di Bond, qui contagia anche il regista John Glen, che lascia partire “California” dei Beach boys (testo estivo se ce n’è uno) durante una (spettacolare) gara improvvisata di snowboard in Siberia tra 007 e gli inseguitori russi. Altro sobbalzo è ai titoli di testa, che scorrono sull’omonima canzone cantata nientemeno che dai Duran Duran (che per popolarità nel 1985 sono come i Beatles negli anni ’60).
Chiude col personaggio di Bond lo 007 più elegante di tutti: Roger Moore lascia dopo 7 film e il rilancio cinematografico di un personaggio che dopo l’addio di Sean Connery sembrava non avere più futuro sul grande schermo. Ma non è solo l’ultimo 007 di Moore; agli sgoccioli ci sono anche alcuni comprimari: l’ultraottantenne Desmond Llewelyn, ossia “Q” (in declino fisico evidente ma che di “007” ne farà altri 5) e Lois Maxwell, la storica figura di Moneypenny, che risulta decadente al punto da essere sostituita dal successivo film con Caroline Bliss.
Questo capitolo della saga di Bond è molto più intenso e meno impalpabile di molti altri (specie di quelli affidati a Glen): molta azione, inseguimenti e presenza importante di tutti gli attori (con l’accoppiata Christopher Walken – Grace Jones che lascia il segno). Il sarcasmo esasperato si placa; e il film ne giova.
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